Eleonora Romano si occupa dei problemi di misurazione della povertà estrema, in particolare della difficoltà nel raccogliere dati sugli homeless. Dopo aver ricordato i motivi per i quali gli homeless non rientrano nelle statistiche ufficiali sulla povertà e hanno ricevuto scarsa attenzione nella letteratura economica, Romano riporta le stime disponibili per l’Italia ed i risultati delle analisi contenute nel Rapporto 2014 dell’Osservatorio Nazionale sul Disagio e la Solidarietà nelle Stazioni Italiane
Secondo le stime diffuse dall’Istat lo scorso luglio, nel 2014 le persone residenti in Italia che si possono definire poveri “assoluti” erano 4 milioni e 102 mila (il 6,8%). Tali stime, però, sono incomplete perché tra i poveri “assoluti” non rientrano “i più poveri tra i poveri”, quelli che potremmo chiamare poveri “estremi”. Più precisamente, esse non tengono conto degli homeless.
Infatti, le statistiche dell’Istat sulla povertà assoluta, ricavate dall’indagine sulle spese delle famiglie, si riferiscono ad una soglia di povertà basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi (di natura alimentare, abitativa e residuale) considerati essenziali affinché un individuo possa ritenersi al riparo da gravi forme di esclusione sociale. Il problema sorge perché la base di campionamento è data dalle abitazioni e, dunque, gli homeless sono sistematicamente esclusi.
Peraltro, la difficoltà nel raccogliere dati censuari o campionari in misura sufficiente su una popolazione che è fortemente mobile (“hard to reach population”) è la causa principale della scarsa attenzione della letteratura economica per il tema degli homeless. Ad essa, come fanno notare Boeri, Braga e Corno (in “Homelessness e dialogo interdisciplinare” a cura di R. Gnocchi, Carocci, 2009), si aggiunge la difficoltà ad inquadrare la povertà estrema nel framework delle teorie economiche tradizionali, le quali, fondandosi su ipotesi comportamentali regolate da rigidi postulati di razionalità, difficilmente riescono a rappresentare il “pattern” di comportamento (o molto spesso l’assenza di regolarità nei comportamenti) degli homeless.
Concentrandoci sulla questione dei dati, le prime metodologie di rilevazione sono state sviluppate negli Stati Uniti negli anni ’80. La più diffusa è la cosiddetta S-Night approach (Street and Shelter Night), che consiste nel conteggio simultaneo degli homeless nell’arco di poche ore (una notte o un giorno) su un dato territorio urbano. In Europa questa metodologia è stata applicata in modo non sistematico e si è fatto ricorso anche agli analoghi one-week counts, che stimano la popolazione degli homeless attraverso il conteggio delle persone che utilizzano le strutture di accoglienza.
Per quanto riguarda l’Italia, a partire dai primi anni 2000 sono state condotte indagini in alcune città (come Milano, Torino e Roma). La prima e unica ricerca che ha portato alla stima ufficiale del numero di homeless a livello nazionale è stata condotta dall’Istat nel 2011 grazie ad una convenzione con il Ministero della Salute, Lavoro e Politiche sociali, la fio.PSD (Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora) e la Caritas Italiana. L’Istat ha costruito una mappa delle strutture collocate nei 158 maggiori comuni italiani che fornivano servizi di mensa e accoglienza notturna e presso le quali è stato possibile intercettare le persone senza dimora e, con riferimento a tali strutture, ha stimato che gli homeless che hanno usufruito di almeno una prestazione nei mesi di novembre e dicembre 2011 sono state 47.648 (lo 0,2 % della popolazione regolarmente iscritta presso i comuni considerati nell’indagine). Si tratta soprattutto di uomini (86,9%), di persone con meno di 45 anni (57,9%) e per circa 2/3 di persone con titolo di studio non superiore alla licenza media. Inoltre, prevalevano gli stranieri (59,4%) che erano più giovani ed istruiti degli italiani; la percentuale di coloro che non svolgeva alcuna attività lavorativa era pari al 71,7% mentre il 6,7% non aveva mai lavorato. Infine, la mancanza di una dimora dipendeva da una pluralità di cause: la perdita del lavoro (61,9%), la separazione dal coniuge e/o dai figli (59,5%), la malattia (16,2%).
La fotografia della povertà estrema fornita dall’Istat nel 2011 rappresenta un episodio isolato: non esistono al momento indagini periodiche a livello nazionale che consentano di monitorare gli homeless. Tuttavia, coloro che nell’ambito istituzionale e del Terzo Settore forniscono servizi di assistenza e orientamento sociale sono “testimoni privilegiati”, che possono contribuire in modo sostanziale a raccogliere dati sulla povertà estrema. Una promettente iniziativa in questa direzione proviene dalla Cooperativa Sociale “Europe Consulting Onlus”, che da alcuni anni ha messo a disposizione di diverse strutture ed istituzioni pubbliche la piattaforma informatica ANThology, con lo scopo di raccogliere, condividere e diffondere dati sulle attività da esse svolte a favore delle persone in condizioni di disagio o a rischio di esclusione sociale oltre che sui beneficiari di tali attività.
Ad esempio, la piattaforma ANThology è utilizzata dall’Osservatorio Nazionale sul Disagio e la Solidarietà nelle Stazioni Italiane (ONDS) – nato dalla collaborazione tra Ferrovie dello Stato Italiane (FSI), Anci e la Cooperativa Europe Consulting – per raccogliere dati relativi a coloro che si rivolgono ai centri di orientamento sociale (Help Center) presenti nelle stazioni italiane per iniziativa di FSI.
Il Rapporto ONDS 2014, presentato lo scorso luglio, contiene alcune analisi empiriche condotte su un dataset di microdati di natura sezionale (4.571 osservazioni) ottenuti dal database di ANThology sugli utenti degli Help Center di Firenze, Roma e Napoli (un sottoinsieme della rete ONDS, caratterizzato da maggiore qualità e completezza dei dati). In particolare, è stato possibile stimare la probabilità di specifici tipi di richiesta in relazione ad alcune caratteristiche individuali degli utenti. Nei grafici 1 e 2 si mostrano le probabilità di fare richiesta, rispettivamente, di accoglienza (notturna e diurna) e di orientamento al lavoro in relazione all’età per quattro utenti-tipo definiti in base al genere e alla provenienza. Nel caso dell’accoglienza, la probabilità diminuisce solo lievemente al crescere dell’età nell’intervallo 20-40, mentre cresce sempre più rapidamente con l’età, una volta superata la soglia dei 40 anni. Al contrario, la probabilità di fare richiesta di orientamento al lavoro cresce lentamente con l’età nell’intervallo 20-45, per poi diminuire rapidamente all’aumentare dell’età dopo la soglia dei 45 anni. L’evidenza è in linea con l’ipotesi che gli utenti più anziani siano più propensi a richiedere accoglienza, presumibilmente per le maggiori difficoltà a trovare una sistemazione al di fuori del circuito degli Help Center rispetto ai giovani. D’altra parte, appare plausibile che i giovani siano più attivi (o meno scoraggiati) nella ricerca di un’occupazione.
Il grafico 3 mostra invece la probabilità che un utente dell’Help Center faccia diversi tipi di richiesta in base allo stato civile e alla condizione abitativa. L’esperienza di rottura familiare sembra essere associata ad una maggiore probabilità di avanzare qualunque tipo di richiesta. Non è difficile immaginare che a seguito di una separazione familiare possa emergere la necessità di trovare una nuova sistemazione e/o un nuovo lavoro e il bisogno di assistenza legale o anche di beni e servizi. Diversamente, vivere in condizioni di disagio abitativo sembra associarsi, da un lato, con una maggiore probabilità di fare richiesta di accoglienza e di beni e servizi e, dall’altro, con una minore probabilità di richiedere orientamento al lavoro. Questi risultati sono coerenti con l’approccio “housing first”, secondo cui la priorità di chi versa in condizioni di disagio abitativo è soddisfare bisogni primari (avere un tetto sopra la testa o un pasto) piuttosto che risolvere problemi di inclusione lavorativa.
Sebbene la metodologia di raccolta dati della rete ONDS sia in fase di perfezionamento e ci sia ancora molto lavoro da fare per ottenere informazioni quantitativamente e qualitativamente significative ed attendibili, il potenziale offerto da ANThology per raccogliere dati e condurre analisi sui fenomeni di povertà estrema costituisce un’importante base di partenza per futuri sviluppi di ricerca.
Recentemente la Commissione Europea, nel Social Investment Package, oltre a segnalare che ad essere colpiti da gravi forme di esclusione sociale sono gli individui a basso reddito (migranti, anziani, giovani, minoranze etniche, lavoratori low-skilled) che non ricevono adeguato supporto da parte dei sistemi di protezione sociale, ha sottolineato che le determinanti del fenomeno sono anche di natura strutturale (legate al mercato del lavoro e a quello immobiliare) e istituzionale (sistemi di welfare nazionali) e tendono ad intrecciarsi tra loro.
In questo contesto, conoscere meglio l’estensione e le caratteristiche della popolazione dei poveri “estremi” è di fondamentale importanza per definire misure di policy efficaci, che favoriscano percorsi di reinserimento lavorativo e sociale per chi vive ai margini estremi della società, così estremi da risultare invisibile persino tra i poveri.