Buone prassi dall'Italia e dall'Europa per la gestione dei problemi di marginalità nelle stazioni
ROMA – “Finalmente le ferrovie internazionali mettono al centro dell’attenzione la gestione del problema sociale nelle stazioni, intesa non solo come sicurezza ma anche come solidarietà”: secondo Alessandro Radicchi, direttore dell’Osservatorio nazionale sul disagio e la solidarietà nelle stazioni, è questa la novità più importante emersa dall’incontro che si è svolto il 24 e 25 giugno a Parigi tra i rappresentanti delle ferrovie italiane, francesi, svizzere, belghe e lussemburghesi. Un incontro tutto centrato sulle strategie di contrasto al disagio e alla marginalità nelle stazioni europee.
Quali sono i punti fondamentali emersi dalla riunione?
Innanzitutto la consapevolezza condivisa che il problema sociale non può essere gestito solo con la sicurezza. La presenza all’incontro di responsabili della sicurezza che trattavano anche di temi sociali segna un importante passo avanti. Un altro punto per noi fondamentale è il riconoscimento dell’Osservatorio italiano come uno dei primi modelli da trasferire nel processo di condivisione delle buone pratiche che si sta attivando
Quali altri modelli significativi sono stati riferiti?
In Belgio c’è un’interessante esperienza di formazione ai ferrovieri sul problema della marginalità. E’ un’idea che condivido in pieno. Credo anzi che questo tipo di formazione debba essere estesa a chiunque lavori in stazione, quindi anche ai commercianti della Grandi stazioni. La Svizzera poi ha riportato un’esperienza molto interessante: si tratta di un sistema che, facendo riferimento alle liste di collocamento, prevede un periodo di formazione e il successivo impiego di giovani disoccupati come operatori sociali sui treni. Svolgono un’attività non di sicurezza, ma di vicinanza al passeggero, in particolare a quello che presenta un disagio
Per quanto riguarda invece il modello dell’Osservatorio, in cosa consiste, in particolare, la sua “eccellenza”?
Innanzitutto nel sistema di rete triangolare tra terzo settore, Ferrovie dello Stato e pubblica amministrazione. Poi c’è il nostro sistema formativo, che viene esportato da una città all’altra per dar vita a delle figure professionali – e sottolineo professionali – che possiamo chiamare “ferrovieri sociali”, oppure operatori sociali di ferrovia. Il punto di partenza di questa formazione è che la stazione non è un centro di accoglienza, ma ha il compito primario di far viaggiare i treni. Di questo dobbiamo sempre tener conto.
Un’altra buona prassi che abbiamo messo in atto e che potrà essere trasferita è il database condiviso degli utenti, per ora montato sulle sedi di Napoli, Roma e Catania e in corso di perfezionamento. Infine, un elemento fondamentale è la flessibilità delle nostre strutture: se con il termine “sede” intendiamo generalmente un help center, in realtà questo può assumere diverse forme a seconda delle esigenze e delle caratteristiche del territorio in cui si colloca: unità di strada, centro diurno o notturno ecc.
Quali saranno i prossimi passi verso la costruzione di questo network europeo?
Sarà firmata una Carta dei valori e degli intenti sulla gestione dei problemi sociali nelle stazioni. Sicuramente il coordinamento sarà allargato anche a Spagna e Germania, probabilmente anche all’Inghilterra, in cui però la situazione è resa complessa dalla compresenza di nove compagnie ferroviarie. Il coordinamento costruirà poi un proprio sito internet ed eleggerà la propria direzione, che si svolgerà quasi certamente a rotazione. L’obiettivo fondamentale è la condivisione delle problematiche per l’individuazione di prassi comuni. A partire da questa filosofia, che da sempre è la nostra: la sicurezza non può essere garantita solo con azioni di controllo, ma anche con interventi sociali “in rete” in grado di coinvolgere tutti gli attori in un sistema di politiche sociali integrate.
Gli Atti del convegno sono pubblicati alla sezione ARCHIVIO/SEMINARI
RS