Ampliamento del numero dei posti, nuove risorse e strutture di accoglienza: le priorità secondo l'assessore provinciale Rao che pensa di utilizzare i vecchi caselli dismessi delle ferrovie: "Necessario mettere mano allo Sprar".
Ampliamento del numero dei posti dello Sprar, il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati, nuove risorse e strutture di accoglienza: queste alcune delle proposte per far fronte alla questione profughi dell"assessore alla Solidarità sociale della provincia di Torino, Salvatore Rao. Che invita anche alla sperimentazione. Abitazioni gestite, perché no, anche dagli stessi rifugiati. autogestione o auto ristrutturazione di edifici abbandonati. Un esempio: i caselli delle ferrovie dismessi, per una “via ferroviaria dell’asilo”. Assessore, partiamo dall'aumento del numero di domande dei richiedenti asilo e rifugiati politici in provincia di Torino.
È piuttosto rilevante ed è conseguenza sia dell’incremento delle persone che vengono a transitare nel nostro paese, con gli sbarchi, ecc. sia perché Torino è diventata sede della Commissione territoriale e questo fa sì che si concentrino qui presenze che magari un tempo guardavano ad altre città. I numeri sono in crescendo: anche solo rispetto a un anno fa la presenza di richiedenti asilo con lo status o con il permesso umanitario è sicuramente aumentato. E se prima c’era uno scarto fra la città di Torino e altre città metropolitane, da Roma a Firenze, questo scarto va colmandosi.
La situazione è critica?
Non siamo in una situazione di emergenza da richiedere chissà quali provvedimenti, è indubbio però che è necessario mettere mano allo Sprar per ampliare il numero dei posti: questo rimane ancora l’unico strumento che consente ai territori, agli enti locali di predisporre un sistema di accoglienza e di accompagnamento nel momento in cui una persona decide di rimanere per un inserimento, integrazione, autonomia. Senza lo Sprar saremmo sprovvisti di qualsiasi strumento che consenta alle amministrazioni di avere un supporto anche dal punto di vista economico, per garantire servizi e percorsi di accompagnamento.
Aumento dei numeri all’interno dello Sprar, incremento delle risorse per consentirlo.
Lo Sprar era un programma predisposto per una situazione che ora è profondamente mutata. All’epoca della sua nascita, quando era il Programma nazionale asilo, da quando la persona veniva sentita dalla Commissione passavano 12-18 mesi, la sua presenza all’interno del programma aveva quel tipo di durata. Quei mesi consentivano la conoscenza della lingua italiana e del territorio, mentre oggi viene data una risposta in 3-4 mesi, il programma non è più preventivo: in quel tempo la persona non riesce né a conoscere, né a muoversi autonomamente, né a conoscere la lingua italiana. Ci vorrebbero alcune modifiche per permettere alle amministrazioni locali, quindi a tutta la rete dell’asilo, ad “assistere” il soggetto, in un periodo almeno di altri 6 mesi. Poi c’è bisogno di strutture per rafforzare la rete dell’accoglienza. E anche qui si può immaginare una partecipazione più attiva da parte del rifugiato nell’adeguare quella struttura o renderla più idonea per dare una migliore qualità dell’abitare. Il Dado di Settimo, dei rom, può essere un esempio. L’auto ristrutturazione o autogestione possono essere leggere, magari con qualcuno che accompagni. C’è bisogno di sperimentare, per trovare delle soluzioni ad una domanda che cresce. Si è sempre a rincorrere questa domanda, ma non ci si è mai allineati.
Che tipo di strutture ha in mente?
In una città come Torino e sul territorio ci sono strutture oggi non utilizzate, abbandonate, che possono essere recuperate. Da tempo, ad esempio, si insegue l’idea di utilizzare i vecchi caselli dismessi delle ferrovie, lungo le linee ferroviarie. Lì ci sono strutture abbandonate che con qualche intervento di manutenzione potrebbero essere adeguate per una accoglienza diffusa. Potrebbe essere la “via ferroviaria dell’asilo”.
Redattore Sociale