Uno spettacolo di Moni Ovadia per sostenere la costruzione del ''Villaggio solidale'' di Milano, dove sarranno accolti i 68 rom ospitati nella Casa della Carità diretta da don Virginio Colmegna.
L'espressione artistica gioca un ruolo fondamentale nella vita delle popolazioni rom e non poteva mancare un momento di spettacolo per dare una mano alla costruzione del Villaggio solidale di Milano, che sorgerà su un'area ancora "top-secret" di 1000-1500 mq, verosimilmente nell'hinterland milanese, per accogliere i 68 rom ospitati nella Casa della Carità diretta da don Virginio Colmegna, dopo lo sgombero del campo nomadi di via Capo Rizzuto (vedi lancio del 20 ottobre 2005; ndr). Stasera, mercoledì 26 ottobre, Moni Ovadia si esibirà nello spettacolo "Djelem Djelem. Parola e canti di popoli erranti", presso l'auditorium "Di Vittorio" della Camera del lavoro di Milano, a partire dalle 21.
"A seguito dello sgombero del campo nomadi di via Capo Rizzuto e dell'ospitalità della Casa della carità alle famiglie rom rimaste senza un posto dove stare, è scaturita l'idea di fondare un'associazione (Associazione Villaggio solidale; ndr) che promuovesse il dialogo con la cultura rom e la realizzazione di nuovi e decorosi insediamenti abitativi", fanno sapere dalla Casa della Carità. La serata è resa possibile dall'impegno dell'associazione Fabio Sormanni della Cgil, dalla Camera del lavoro di Milano e dallo stesso Moni Ovadia, tutti tra i primi sostenitori dell'idea dei 'villaggi solidali'.
Insieme a Moni Ovadia e al quartetto Taraf da Metropulitana, si esibirà la "Banda del villaggio" formata dai rom accolti dalla Casa della carità. "La musica rom, nel solco della tradizione gitana, è fatta di virtuosismo, vivacità, allegria e malinconia -comunicano dalla Casa della Carità-. Questa musica rappresenta la cultura rumena, piena di diversità etniche ed emotive, come uno squarcio della vita quotidiana di un popolo, messo li, come spartiacque tra Oriente ed Occidente. Violino, fisarmoniche, melodie a velocità fugaci accompagnate da voci femminili che esprimono tutto il dramma di una esistenza di confine, tra l'accettazione e la 'colpa' di essere Rom".