Ma si tende ancora a subordinare gli obiettivi sociali a quelli finanziari. Intanto la Ue rinuncia al Modello Sociale Europeo: e il 16% della sua popolazione è a rischio di povertà. Il Secondo Rapporto sullo stato sociale (Utet Università).
Spesa sociale e crescita economica non sono in contrapposizione, ma possono essere complementari, contrariamente a quanto sostengono le attuali tendenze neoliberiste: è questa la tesi di fondo del Rapporto sullo Stato sociale 2006, edito da Utet Università e curato da Felice Roberto Pizzuti. Il volume, realizzato con il sostegno del Dipartimento di Economia pubblica dell'Università La Sapienza e in collaborazione con il Centro di Ricerca interuniversitario sullo Stato sociale, è stato presentato stamattina presso la stessa Facoltà di Economia.
"Nonostante la diffusione e il credito (per lo più ingiustificato) di cui gode la tesi del trade-off (contrapposizione, ndr) – e le significative conseguenze che concretamente ne vengono fatte discendere in termini di politiche sociali e di complessiva politica economica – le indagini empiriche non confermano affatto le sue indicazioni", si legge nel Rapporto. "Proprio le nuove esigenze poste ai sistemi produttivi dalla globalizzazione dei mercati e dall'accelerazione degli sviluppi tecnologici richiamano l'attenzione sul positivo ruolo propulsivo dello stato sociale nella creazione di capitale umano che sopperisce al tendenziale sott’investimento in istruzione e formazione che altrimenti ci sarebbe". La complementarità tuttavia è strettamente condizionata dalla qualità del sistema produttivo stesso e dal suo stato di salute: "In sistemi produttivi strutturalmente ´maturi´ - scarsamente aperti sll0innovazione e tendenzialmente proiettati al declino – le attività delle istituzioni del welfare possono risultare meno efficaci come stimolo alla crescita e il loro finanziamento può diventare penalizzante per la competitività delle imprese, se essa è incentrata essenzialmente sul prezzo e poco sulla qualità dell'offerta produttiva".
Ed è proprio questa, purtroppo, la realtà attuale del nostro Paese e di buona parte dell'Unione Europea. Seppure ci sia stato, negli ultimi anni, un crescente riconoscimento del ruolo costruttivo che gli obiettivi sociali possono svolgere nella costruzione di un'identità europea, tuttavia sono di fatto mancate politiche capaci di dar vita al cosiddetto "Modello Sociale Europeo", cui è dedicato un intero capitolo del Rapporto. "Nel Consiglio Europeo tenutosi a Lisbona nella primavera del 2000, la lotta alla povertà e all'esclusione sociale e la connessa estensione delle prestazioni sociali venivano messi sullo stesso piano della crescita e dell'occupazione; rispetto alle finalità economiche più dirette, la coesione sociale veniva vista come una risorsa e non come un vincolo. L'equiparazione e l'integrazione tra i tre obiettivi diventava il tratto distintivo della Strategia con la quale si individuava il cosiddetto Modello Sociale Europeo la risposta peculiare dell'Unione alle sfide della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica che accompagnavano l'inizio del nuovo millennio. Tuttavia, successivamente all'enunciazione della Strategia di Lisbona, i suoi ambiziosi propositi non sono stati accompagnati da corrispondenti scelte concrete".
Nella premura di tutelare le autonomie decisionali nazionali, si è di fatto rinunciato a imprimere alle politiche sociali europee una svolta decisiva. Permane quindi oggi, nei Paesi dell'Unione, una situazione sociale preoccupante: nel 2004, seguendo una tendenza in leggera crescita, piàù di 70 milioni di europei, pari al 16% della popolazione dell'Unione a 25, risultavano a rischio di povertà". A cinque anni dal varo della Strategia di Lisbona, accertati gli insignificanti risultati conseguiti, l'Unione ha quindi stabilito, nel Consiglio di Primavera del 2005, un "nuovo inizio", decidendo di "concentrare l'attenzione sugli obiettivi della crescita e dell'occupazione, subordinando ad essi quello della coesione sociale che, dunque, non viene più collocato tra i fattori portanti della strategia di sviluppo dell'UE". Un'inversione di tendenza preoccupante e probabilmente controproducente, dal momento che "il cammino della costruzione europea potrebbe trovare una nuova spinta proprio in una valorizzazione intelligente del Modello sociale europeo che, senza risultar inutilmente lesiva di alcune specificità nazionali, sappia recuperare la scelta fatta a Lisbona di considerare gli obiettivi sociali non subordinati, ma positivamente interagenti con la crescita e l'occupazione"