6500 le firme raccolte da Consulta Penitenziaria di Roma, Comunità S. Egidio e A Roma Insieme per modificare la legge 30/2001 affinché le madri detenute con i loro bambini possano scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere.
Presentato stamani alla stampa l'appello al Parlamento per la proposta di modifica delle legge 30/2001 (cosiddetta Finocchiaro). A 4 anni dalla sua approvazione il problema dei bambini in carcere non è affatto diminuito. Secondo Lillo de Mauro, presidente della Consulta, "negli ultimi anni il numero dei bambini da 0 a 3 anni di età che crescono in carcere è andato progressivamente aumentando nonostante una Legge riconosca l’incompatibilità della detenzione per le donne madri con figli".
Le madri detenute sono perlopiù donne immigrate, tossicodipendenti e in misura crescente nomadi. I padri dei bambini li hanno abbandonati, non si conoscono, o sono anche loro in prigione. Sebastiano Ardita, Capo Ufficio Detenuti e Trattamento del D.A.P., ha sottolineato il contesto di estrazione delle donne detenute nelle carceri italiane, caratterizzato da situazioni di degrado sociale, povertà e emarginazione. Sono perlopiù donne condannate per reati contro la legge sugli stupefacenti, reati familiari ed ex-prostitute colpevoli di favoreggiamento della prostituzione. "E' chiaro" - ha detto Ardita - "che a parte pochissime, queste donne non rappresentano una minaccia per la sicurezza della società". Già, perché la vera questione, secondo Leda Colombini, presidente di A Roma Insieme, è "come coniugare, in una società che è sempre più insicura, il rapporto sicurezza-solidarietà". La legittima richiesta di sicurezza da parte dei cittadini rischia di negare i diritti delle detenute madri, dei loro figli e più in generale di tutti i carcerati.
La legge Finocchiaro aveva previsto il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena e la detenzione domiciliare speciale per le madri con figli di età inferiore a 3 anni, ma se e solo se "non sussiste un concreto pericolo della commissione di delitti e vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli" (Art. 47 quinquies O.P.). Questo ostacolo si è rivelato insormontabile nell'applicazione della legge di fronte a casi altamente recidivi e di donne straniere o nomadi senza stabile domicilio.
È per superare questi limiti, spiega l'avv. Stefania Boccale, che la proposta di legge chiede all'art. 1 di abrogare tale vincolo. Punti vitali della proposta la creazione di case-famiglia protette che garantiscano non solo la sicurezza dei cittadini ma anche un sano sviluppo psico-fisico ai figli delle detenute che non possono godere del rinvio dell'esecuzione della pena. La modifica chiede anche che la madre sia tempestivamente autorizzata a seguire il bambino in ospedale, in caso di ricovero. L'art. 6 chiede la modifica del Testo Unico sull'Immigrazione: dare la possibilità alle detenute madri straniere di ottenere, al termine della loro pena detentiva, la revoca dell'espulsione automatica, qualora abbiano compiuto un percorso di risocializzazione positivo e i loro figli siano ormai inseriti nella scuola e nella vita sociale italiana.
Lillo ha riferito che il Presidente della Camera Casini sarebbe disponibile ad incontrare i promotori della proposta di legge. Presenti alla conferenza deputati e senatori, soprattutto donne (tra gli altri Buemi, Lucidi, Colombini, Pistone, Faccione), si sono detti disponibili a sostenere l'iter della legge da subito, con l'obiettivo di farla approvare entro la fine della legislatura. "Il problema è risolvibile" ha dichiarato Stefania Tallei di Sant'Egidio. Sono poche le donne e pochi i bambini, e una soluzione rapida pare possibile. Certo è che il rapporto madre-bambino non è che l'emblema delle contraddizioni del sistema carcerario italiano ancora incapace di trovare un giusto equilibrio tra sicurezza dei cittadini e risocializzazione-inclusione dei detenuti.
Redattore Sociale