Per una volta partiamo da papa Francesco: «Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada mentre lo sia il ribasso di due punti in Borsa. Questo è esclusione». Parole stampate nell'esortazione apostolica “Evangelii gaudium” e che tutti dovremmo scriverci addosso con inchiostro indelebile.
Perché è tristemente vero che il dramma quotidiano di uomini e donne, sempre di più, costretti ad una vita in condizioni estreme non smuove più di tanto né opinione pubblica né mezzi di informazione. Neppure quando quelli che chiamiamo di solito “barboni” o – meno brutalmente – senzatetto o senza fissa dimora, arrivano a perdere la vita nella solitudine, nel freddo, nell'abbandono di una strada o di una piazza. A volte nell'indifferenza, se non nel fastidio, di qualche passante. Girarsi dall'altra parte è sempre facile.
Guardiamo al mondo. Le cifre faticano a quantificare un microcosmo sfuggente, a volte invisibile. Ma negli Stati Uniti almeno un milione di bambini sopravvive in strada o in alloggi di fortuna, in Russia i numeri parlano di 500mila senzatetto ma sembrano inferiori alla realtà; in Inghilterra negli ultimi tre anni si è registrato un aumento del 30 per cento, in Francia un rapporto della Fondazione Abbé Pierre stima in oltre 140mila i clochard.
Nel nostro Paese un'indagine Istat-Caritas del 2012 ha censito circa 50mila senzatetto. La solidarietà del mondo del volontariato e un aumento di forme di accoglienza per i mesi più freddi predisposto dalle istituzioni salvano molte vite, ma non possono evitare che ogni inverno porti con sé un atroce elenco di vittime. Genova, Roma, Napoli, Treviso, Milano, Lecce, Venezia, Orbetello... in queste e in altre città negli ultimi mesi qualcuno “è morto di freddo”. In un giaciglio di cartone, sulla panchina alla fermata di un autobus, ai bordi di un parcheggio. A volte emergono risvolti da brivido. (...)
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