Quando vivere da irregolari è traumatico


Pubblicato il 30.04.2008 in News Sociale

Primo bilancio del progetto della Caritas romana ''Ferite invisibili'': sono quasi 50 le persone colpite da traumi gravi prese in carico dal 2005 a oggi, provengono da 26 paesi diversi, ma non sono solo richiedenti asilo e rifugiati.
 
Traumi nascosti che non è facile individuare, lacerazioni che non si rimarginano. Tra gli stranieri presenti nel nostro Paese molti sono stati vittime di violenze e di torture di cui continuano a portarsi addosso i segni, e non solo dal punto di vista fisico. E molti altri arrivano per migliorare le loro condizioni economiche e in Italia si trovano incastrati in situazioni di forte disagio e sofferenza. È di queste persone che si occupa il progetto "Ferite invisibili” della Caritas diocesana di Roma, di cui questa mattina a Roma è stato presentato un primo bilancio. Si tratta di un'iniziativa nata nel 2005 per dare un supporto di tipo terapeutico e sociale agli stranieri colpiti da gravi traumi. Che non sono - come si potrebbe pensare – soltanto richiedenti asilo e rifugiati, ma anche migranti economici che per varie e diverse ragioni non riescono a sopportare la durezza dell"esperienza migratoria. Il progetto, che finora ha preso in cura circa 50 persone, si inserisce all"interno dell’area sanitaria della Caritas, dove dal 1983 a oggi hanno trovato assistenza circa 7 persone l’anno (di cui la metà nuove) per un totale di 90 mila individui.

Sono 47 le persone prese in carico dal progetto "Ferite invisibili”, tra cui 34 uomini e 13 donne provenienti da 26 paesi diversi. E di questi 14 sono di nazionalità afgana, ma altri arrivano da Polonia, Cina, Romania, Ucraina,  e quindi non si tratta di richiedenti asilo politico. “Il progetto è nato in maniera sperimentale e senza nessuna pubblicità iniziale – racconta il supervisore Marco Mazzetti. – Si tratta di un campo nuovo e difficile e non volevano creare aspettative che poi non potevamo soddisfare”. Perché l’obiettivo è piuttosto ambizioso, e consiste appunto nella cura “delle persone con sintomatologia grave attraverso un intervento integrato psico sociale”.

“All’inizio abbiamo fatto riferimento alle nostre case famiglia dove vivono richiedenti asilo e rifugiati con regolare permesso di soggiorno”, ricorda Salvatore Geraci, responsabile dell’area sanitaria della Caritas romana. “Ma andando avanti abbiamo cominciato a rivolgerci anche a quelli che arrivano nel Poliambulatorio di via Marsala”. Infatti, quando gli operatori di una struttura di accoglienza o del Poliambulatorio percepiscono la presenza di ferite nascoste nella persona con la quale sono venute in relazione, contattano i referenti del progetto. “Dalle case famiglia ci segnalavano situazioni di persone completamente isolate e chiuse in stesse, di persone colpite da insonnia oppure da crisi di pianto, o in ogni caso in stato di grave sofferenza”. Tuttavia il progetto non si pone limiti ed è in continua evoluzione. “Man mano che ci rafforziamo – prosegue Geraci – ci apriamo anche ad altri campi”. Perché sono molti quelli che potrebbero avere bisogno di aiuto. Basti pensare alle badanti, persone particolarmente a rischio per lo stato di forte isolamento nel quale spesso si trovano a vivere e a lavorare.

In questo senso il progetto “Ferite invisibili” diventa anche un osservatorio molto particolare, che conferma quello che la Caritas va ripetendo da tempo: gli immigrati che arrivano in Italia sono sani, e spesso le cattive condizioni fisiche e psicologiche sono una conseguenza dell’esperienza migratoria. “La migrazione dove non è supportata da livelli di integrazione adeguati può causare traumi molto forti – spiega Geraci. – L’immigrato che viene qui è sano, molte patologie sono la conseguenza di gravi situazioni di disagio. E la terapia migliore non è costituita dai farmaci ma da percorsi di accoglienza e di inserimento”. “Inoltre - continua il responsabile dell’area sanitaria della Caritas romana, “vivere da irregolari può causare dei traumi. Un’esperienza di migrazione non tutelata e senza il supporto di politiche di reale inserimento può creare seri rischi in chi la vive”. E allora un sistema di politiche inclusive è più conveniente per tutti. Visto che gli immigrati vivono in mezzo a noi tanto vale accoglierli bene. “E chi non vuol farlo per ragioni umanitarie lo faccia almeno per convenienza” conclude Geraci. 
 

 

Redattore Sociale