Difficilmente è una scelta quella di vivere per strada, generalmente è dovuta a una concausa di elementi che si abbattono su persone “fragili” rendendo il percorso irreversibile. Il problema maggiore è quello di ritrovare un lavoro e una casa partendo da condizioni difficili.
PRATO. La stazione centrale per qualcuno è la casa, il posto dove dormire, incontrare gli amici e magari prendere un caffè, portato dai volontari della Ronda notturna della Caritas, prima di entrare nel sacco a pelo ed aspettare che arrivi l'alba. I senza fissa dimora che popolano la stazione in modo stabile sono una decina e ciascuno porta con sé una storia diversa. Le stanze sono gli androni dei binari, qualcuno dorme da solo, altri in compagnia, tutti avvolti nei sacco a peli o nelle coperte buttate per terra quando ormai è passato anche l'ultimo treno. Sono soprattutto uomini, per le donne la vita da homeless è ancora più complicata, hanno un'età indefinita perché per chi vive per strada il tempo agisce ancora più in fretta, sono accompagnati da grossi cani a cui non fanno mancare nulla perché spesso sono considerati come i compagni di vita, la famiglia che non c'è più.
Il punto di incontro, quello che in una casa normale potrebbe essere il soggiorno, sono i gradini del palazzo accanto alla Cap. Qui si ritrovano la sera a raccontare storie, a farsi compagnia. A tenere banco Giuseppe (nome di fantasia) che vuole andare via dall' Italia, ma alla fine resta legato a Prato, anche se viene da Roma. Lasciato dalla moglie, dopo che la madre è morta, si è trovato in mezzo alla strada, vive facendo qualche lavoretto e dopo le 23 lascia la stazione per andare “a casa” ma cosa intenda per casa nessuno lo sa.
Da quando la crisi incombe e ci sono tante fabbriche abbandonate, molti senza fissa dimora trovano ricovero in questi edifici, altri invece si sentono più sicuri in stazione. Come Francesco che ha un lavoro, ma non riesce a pagarsi un affitto così ogni sera rientra al binario 3 si lava ai bagni pubblici e poi stende la sua coperta. La mattina dopo è difficile recarsi al lavoro, ma non può permettersi di perderlo. Qualche volta ci sono anche i senza fissa dimora di passaggio, quelli che restano due giorni e poi proseguono il loro viaggio (...).
Capire la storia di questi “residenti” non è facile: nascono meccanismi psicologici di vergogna oppure il desiderio di impietosire chi ti sta davanti omettendo qualche particolare che poi si rivela fondamentale, tutto questo rende le storie poco verosimili. Difficilmente però è una scelta quella di vivere per strada, generalmente è dovuta a una concausa di elementi che si abbattono su persone “fragili” rendendo il percorso irreversibile. Il problema maggiore è quello di ritrovare un lavoro e una casa partendo da condizioni difficili. (Continua a leggere l'articolo)