Intervista al criminologo bolognese: ''L’idea di Amato presuppone che tutte le prostitute sono coatte, ma non è vero''. ''No a una concezione paternalistica dello Stato''.
“Davvero sono tutte coatte le prostitute che vediamo sulle nostre strade? E siamo proprio sicuri che il problema della prosituzione si possa affrontare con il diritto penale, criminalizzando i clienti?”. Massimo Pavarini, sociologo di Bologna e grande esperto di problemi di criminalità e devianza, dice di essere molto scettico rispetto alle ultime proposte avanzate dal ministro dell’Interno, Giuliano Amato in tema di prostituzione.
Allora, Pavarini, che cosa pensa della proposta di punire i clienti delle prostitute?
Il dibattito non è nuovo e ci sono realtà all’estero, come la Svezia, che già praticano misure di questo genere. Io non so fare un bilancio di tutte le esperienze in corso. Dico solo che tutte partono da un presupposto che non condivido pienamente. Parlo cioè del fatto che si pensa alle prostitute come delle persone coatte, obbligate da qualcun altro a fare quello che fanno. Con questo presupposto, sapendo appunto che la prostituta è coatta, quindi sottoposta a condizioni di schiavitù come succede in particolare con le ragazze minorenni, allora è conseguente accusare il cliente di partecipare al meccanismo di sfruttamento. Se la ragazza è coatta, o peggio è schiava, allora il cliente si rende inevitabilmente complice di questo crimine e quindi va punito di conseguenza.
Ma lei pensa che non sia vero tutto ciò? E’ una forzatura?
Io penso che ci sono tantissime ragazze che si prostituiscono in condizioni coatte. Ma non credo si possa realisticamente dire che tutte le ragazze che si prostituiscono sono coatte, sono cioè obbligate a farlo. So che c’è chi lo pensa, ma credo che sbagli. Sappiamo infatti che molte ragazze che vengono a prostituirsi in Italia sono costrette a fuggire dai loro paesi per le gravi condizioni di miseria in cui versano. Ma sappiamo anche che molto sanno già prima di partire, che verranno qui in Italia a prostituirsi. Poi magari scoprono condizioni di sfruttamento che non avrebbero mai immaginato e allora cercano di liberarsi. Ma ci sono anche alcune ragazze che sognano di liberarsi dai loro sfruttatori per metterci in proprio, diventare imprenditrici di se stesse. Ed è anche ovvio che esistono condizioni molto diverse: una cosa è prostituirsi per le strade, lungo il Piave, altra cosa in un night club. Mi dispiace per don Benzi che la pensa al contrario, ma io credo che esistono anche casi di prostitute che liberate dai loro magnaccia vorrebbero poi continuare a esercitare in altro modo la loro professione.
Questo discorso porta a dire che la proposta di punire i clienti è sbagliata?
Io non condivido affatto la concezione paternalistica dello Stato. Di uno Stato cioè che punisce i suoi cittadini come se fossero i suoi figli, si rischia di cedere a un intento etico. Ma qui bisogna chiarirsi. Se si vuole impedire la tratta delle donne si deve essere capaci di applicare le leggi esistenti. Se invece si vogliono perseguire altri scopi, allora stiamo molto attenti alle impostazioni puramente moralistiche. Il codice penale, comunque si veda la questione, non risolve. E non risolve soprattutto l’elemento classista di questo fenomeno perché punendo i clienti che frequentano le prostitute in strada si punisce chi ha meno risorse. Chi ha più soldi, infatti, non va a cercarsi la prostituta per strada. Ha altri luoghi e altre risorse per soddisfare le sue voglie. Infine vorrei ricordare che tutta la letteratura sociologica in tema è d’accordo nell’affermare che il cliente non va a cercare il sesso. Gli uomini – che poi sono una percentuale molto alta (20-25%) tra i maschi attivi tra i 16 e i 70 anni – cercano nella prostituta cose molto diverse dal sesso. In conclusione vorrei dire che risulta sempre molto elegante il dire che si vogliono colpire i clienti e non le donne. Ma non si risolve nulla così.
Può sintetizzare qualche proposta alternativa?
Io penso che bisognerebbe favorire l’attività scelta delle donne che vogliono prostituirsi, magari associandosi. Ma oggi questo non è possibile perché esiste la norma di favoreggiamento. Quindi se due donne si organizzano rischiano di essere condannate entrambre per favoreggiamento della prostituzione dell’altra. Si dovrebbe invece favorire forme di autorganizzazione, che l’unico modo realistico per scavalcare lo sfruttamento.
Redattore Sociale