Sono i 5 stranieri detenuti a San Vittore e in attesa di giudizio (fissato per il 22 settembre) per gli scontri avvenuti lo scorso aprile al Cpt di via Corelli. Sempre più immigrati in sciopero della fame.
Per protesta non mangiano più. Sono i 5 immigrati, quattro magrebini e un cubano, detenuti nel carcere di San Vittore e in attesa di giudizio per gli scontri avvenuti nella notte del 10 aprile al Cpt di via Corelli a Milano. Il loro sciopero della fame è iniziato venerdì, dopo che i giudici dell'ultima udienza hanno rinviato la conclusione del processo al 22 settembre. Una decisione che ha scontentato molti, a cominciare degli stessi detenuti. "Dovranno rimanere in carcere ancora tre mesi – commentano Mauro Straini e Eugenio Losco, gli avvocati difensori -: è un provvedimento cautelare eccessivo rispetto alle imputazioni. I nostri assistiti sono accusati di danneggiamenti alla struttura di via Corelli, non di omicidio".
Questa mattina i cinque sono apparsi affaticati: al sesto giorno di sciopero c'è chi ha già perso 7 chili. "Domani chiederemo la revoca della detenzione cautelare - spiega Straini -. Per uno di loro il giudice avrebbe già potuto predisporre gli arresti domiciliari: ha una casa e ad aprile si sarebbe dovuto sposare con una cittadina italiana".
A sorprendere è la lunghezza del rinvio nel processo di rito abbreviato. "Sono arrivati in giudizio e rischiano di pagare un prezzo molto alto, determinato da giochi politici - commenta preoccupato
Luciano Muhlbauer, consigliere regionale per Rifondazione -. Le tensioni delle istituzioni intorno ai Cpt non favorisce certo la loro posizione".
Sempre di più gli ospiti dei Cpt utlizzano lo sciopero della fame come strumento di protesta non violenta. E' accaduto nel mese di aprile e maggio nel Centro di via Corelli, dove si chiedevano condizioni di vita più umane, e ora nei 16 Cpt italiani. "E' una lotta silenziosa che non buca il muro di gomma dei mass media – precisa Fabio Zerbini, rappresentante del comitato Non si cancella via Adda -. Per questo ora in molti scelgono la fuga. Giuridicamente i Cpt non sono carceri: fuggire non è un reato, al massimo li riportano dentro con la forza".
Oggi pomeriggio alle ore 16.30, una delegazione di firmatari dell'Appello alla città per la chiusura del Cpt di via Corelli incontrerà il Prefetto di Milano, Bruno Ferrante, all'interno del Centro di permanenza milanese per discutere le modalità del monitoraggio indipendente all'interno della struttura.
Redattore Sociale