Per gli stranieri che denunciano difficile provare i fatti


Pubblicato il 24.04.2008 in News Sociale

Salari non pagati, licenziamenti, lavoro irregolare: questi i motivi per cui i lavoratori immigrati intentano una causa. Michelini, magistrato: ''La tutela processuale rivela una scarsa sindacalizzazione''. 
 
Salari non pagati, licenziamenti, lavoro irregolare. Sono queste le ragioni principali che inducono i lavoratori stranieri della capitale a intentare causa contro i loro datori di lavoro. A renderlo noto è Gualtiero Michelini, magistrato del lavoro di Roma, intervenuto martedì scorso all'ultimo dei quattro seminari organizzati da Parsec sul lavoro gravemente sfruttato. "Nella capitale le professioni di muratore, carpentiere, decoratore, collaboratrice familiare, baby sitter, addetto al carico e scarico delle merci, cuoco, aiuto cuoco, pizzaiolo e cameriere vengono svolte prevalentemente da lavoratori stranieri, in condizione di regolarizzazione spesso precaria”, ha spiegato Michelini, che ha precisato come “la tutela processuale di questi lavoratori rivela una scarsa sindacalizzazione e rappresentatività collettiva e sconta maggiori difficoltà nella dimostrazione dei fatti e nella realizzazione dei crediti accertati”.

Spesso poi gli immigrati si trovano a lavorare per piccole e piccolissime imprese, con scarse risorse finanziarie e poche possibilità di “affrontare il costo di una difesa tecnica, con conseguenti riflessi, anche in caso di accertamento del credito, sulle possibilità di fruttuoso esercizio dell"esecuzione forzata”. Ma in questo tipo di cause anche accertare l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro, che spesso è del tutto irregolare dal punto di vista fiscale e contributivo, può diventare un problema. Una seconda tipologia di controversia riguarda invece le impugnative di licenziamento: i lavoratori immigrati infatti in molti casi vengono licenziati direttamente a voce, senza ricorso alla comunicazione scritta che invece la legge prevede. E anche in questi casi la mancanza di riscontri documentali relativi al lavoro svolto e l’assenza di testimoni diretti impediscono spesso il riconoscimento dell’ipotesi di licenziamento verbale e delle conseguenze risarcitorie.

Quanto agli infortuni sul lavoro, “oltre ai casi più scottanti riferiti alle cronache di totale dissimulazione di eventi anche mortali concernenti immigrati irregolari - ha detto Michelini - è stata osservata una maggiore difficoltà di prova rispetto ai lavoratori italiani, per i problemi del lavoratore immigrato che spesso viene regolarizzato soltanto in occasione e il giorno stesso dell’infortunio e risulta assunto in quella data”. Ma anche qui non è sempre facile reperire testimoni in grado di deporre, il che secondo il magistrato del lavoro rappresenta l’ulteriore espressione “di una difficoltà a intrecciare reti di relazioni con i colleghi di lavoro, di cui magari non si ricorda il cognome, e comunque a instaurare rapporti di solidarietà con gli altri lavoratori”. Nessuno invece intenta causa per via del mancato riconoscimento di una qualifica professionale superiore, per le mansioni svolte o per il demansionamento, in quanto tali tipologie di controversie presuppongono necessariamente “una consapevolezza dei propri diritti e una garanzia di stabilità del posto di lavoro che non appartiene, di fatto, ai lavoratori immigrati”.

Un particolare tipo di controversia riguarda, infine, il lavoro degli stranieri privi di permesso di soggiorno. Normalmente i principi giurisprudenziali prescindono dalla nazionalità del lavoratore e dalla condizione di immigrato regolare o meno dello stesso, così che “la nullità del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione ed il lavoratore ha in ogni caso diritto alla retribuzione”. Ma queste cause sono particolarmente numerose nei periodi di sanatoria, quando l’accertamento di un rapporto di lavoro non regolarizzato diventa necessario ai fini del conseguimento del permesso di soggiorno. Sono situazioni, queste ultime, “che presentano forti rischi di strumentalizzazione e che risultano particolarmente delicate sul piano della verifica processuale”.

Un ultimo problema è quello del cosiddetto dumping sociale. Non è chiaro – secondo Michelini – se il fatto che alcuni lavori vengano ormai svolti esclusivamente dagli immigrati dipenda da una maggiore qualificazione dei lavoratori italiani o invece da una sorta di dumping sociale che rende più basso il costo del lavoro di persone “disposte ad accettare condizioni di lavoro sottopagate o comunque depurate degli oneri fiscali e contributivi”. E questo crea una concorrenza che nell’esperienza pratica si realizza spesso non sul piano del salario netto, che può essere equivalente, ma sul costo del lavoro comprensivo degli oneri fiscali e contributivi “specialmente laddove il lavoratore straniero, che percepisca o viva la sua condizione in termini temporanei, non abbia alcun interesse ad essere inserito nel sistema previdenziale italiano, che garantisce le sue prestazioni ordinarie al raggiungimento di determinati requisiti temporali e in relazione a versamenti continuativi di medio-lungo periodo”.
 

 

Redattore Sociale


Autore: ap