Alcuni sono all'avanguardia, mentre in Italia solo 4 regioni hanno avviato la sperimentazione. Il sottosegretario alle Pari opportunità Linguiti assicura: ''La proposta va presentata al parlamento''.
Le pari opportunità sembrano un problema risolto a livello europeo. Le differenze tra i vari paesi nelle politiche di genere però non danno questo dato come assodato. E se la cornice giuridica della parità sessuale è pressoché identica in tutti gli ordinamenti, diversa è la situazione relativa alle procedure di bilancio di genere. Mentre alcuni paesi dell’Unione sono sicuramente all’avanguardia, altri hanno ancora tanta strada da fare. E tra questi ultimi spicca sicuramente l’Italia, dove solo a partire dal 2004 è partita la sperimentazione per un bilancio di genere a livello locale in quattro regioni italiane.
Ma cosa significa fare un bilancio di genere? Per semplificare si può dire che si tratta di un bilancio che tiene conto della parità e uguaglianza tra i sessi, e che quindi deve essere elaborato strutturando le entrate e le uscite secondo il principio delle pari opportunità. Non una meccanica divisione delle risorse finanziarie tra uomini e donne, quindi, ma un modello per una distribuzione equa tra i sessi nelle varie voci di spesa. Di bilancio di genere in Italia si è iniziato a parlare nel 2000 con il convegno organizzato a Roma sulle pari opportunità. Oggi, a distanza di sette anni, un nuovo convegno organizzato dal dipartimento per i Diritti e le Pari opportunità e dalla fondazione G. Brodoloni ha messo sul tavolo le esperienze europee e le possibili prospettive per il nostro paese. "Esiste una domanda trasversale ai diversi schieramenti per un bilancio di genere e questo ci fa ben sperare per quando presenteremo la proposta in parlamento - ha commentato Donatella Linguiti, sottosegretaria di Stato per i Diritti e le pari opportunità – ma la rete di province, comuni e regioni ci dice anche che in Italia la richiesta è partita dal basso e che quindi il bilancio di genere è uno strumento che attiva la partecipazione politica".
Francesca Bettio dell’università di Siena ha sottolineato come oggi dopo sette anni in cui la proposta è stata recepita soprattutto dagli enti locali, ci sia in Italia l’esigenza forte di arrivare in finanziaria. E tra gli esempi ha citato il caso della Gran Bretagna, dove dal 1997 il gruppo indipendente Women’s Budget Group commenta ogni anno la finanziaria inglese redigendo un documento in due parti, in cui vengono analizzate tutte le voci di spesa relative al tema delle pari opportunità. Pensando al nostro paese ha postulato alcune ipotesi su come sia più corretto procedere per mettere in atto un bilancio di genere. In primo luogo bisogna pensare a quali sono le priorità per le donne italiane; poi decidere che tipo di analisi effettuare se trasversale o settoriale e se a portare avanti l’indagine deve essere un gruppo indipendente o un gruppo che collabora con le istituzioni.
"Credo che nel proporre un bilancio di genere si ha un avversario principale - ha detto il ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero – e cioè il fatto che si tende a presumere che l’economia sia una scelta neutra, priva di connotazioni sociali. Oggi da Bruxelles ci dicono che abbiamo usato male il tesoretto, perché questo è stato utilizzato per i servizi sociali e per gli strati più deboli della popolazione. Ma questa è una considerazione di destra, che vorrebbe che le risorse siano utilizzate soltanto per ridurre il deficit dello stato. E’ necessario quindi reintrodurre un principio di razionalità sociale nell’economia, e in questo il bilancio di genere può essere un momento decisivo". E cogliendo l’occasione Ferrero ha ribadito la sua proposta di fare in collaborazione con gli alti ministeri impegnati nel campo del sociale un bilancio sociale per monitorare una volta all’anno cosa si è fatto a livello politico in questo ambito secondo diversi punti di vista.
Redattore Sociale