I ''nuovi'' cittadini vivono distribuiti in tutti i quartieri. Ricerca condotta dall'Osservatorio sulle differenze del Comune.
I “nuovi” cittadini vivono distribuiti in tutti i quartieri e anche in centro, dove la loro presenza è particolarmente elevata. È questo, in pillole, l’esito della prima ricerca condotta nell’arco di quattro mesi dall’Osservatorio sulle differenze del Comune, diretto dal sociologo Maurizio Barbagli. Un’indagine – la prima in Italia nel suo genere – stimolata dalle drammatiche notti di fuoco della banlieue parigina, e che ha voluto mettere a confronto la situazione degli immigrati nel capoluogo dell’Emilia-Romagna dal 2001 a fine 2005, per rispondere sostanzialmente a due interrogativi: si stanno formando dei ghetti di immigrati nelle periferie di Bologna? È variato, e in che senso, il grado di segregazione residenziale dei vari gruppi di immigrati in città?
Le fonti utilizzate per l’indagine sono il censimento Istat 2001 e i dati dell’Anagrafe comunale. Secondo le cifre di quest’ultima, fra il 2001 e il 2005 il numero assoluto degli stranieri residenti a Bologna è aumentato di ben 9.820 unità, passando da 24.086 a 33.906, con una significativa crescita dei gruppi provenienti dall’Europa dell’Est: ucraini, moldavi, romeni e polacchi, poco presenti invece nel 2001.
Le tabelle presentate oggi confermano che la “geografia” della presenza immigrata è cambiata in città, e per alcuni gruppi in modo rilevante, nel periodo analizzato. Come?
“Innanzitutto bisogna distinguere tra centro storico e resto della città – premette Barbagli – . C’è stata negli anni una progressiva diminuzione della popolazione bolognese che risiede in centro, attualmente attestata al 14%. Sappiamo anche che, nel corso del tempo, è mutata la composizione sociale di chi ci vive”, e precisamente “la prevalenza è di persone appartenenti ai ceti medio-alti. Tutto ciò dagli anni Settanta fino al 2001”. Dopo questa premessa, “dovremmo aspettarci che oggi gli immigrati vivano maggiormente in periferia, ma non è così, anzi, è vero l’opposto: nell’ultimo periodo, la situazione è cambiata. Dalla ricerca, è emerso infatti che i membri della maggior parte dei gruppi nazionali stranieri hanno una probabilità di risiedere in centro maggiore di quella osservata fra gli italiani”. Quindi, nel caso di Bologna, “lo schema centro-periferia non funziona, va riesaminato”.
Un altro punto su cui la ricerca si è soffermata è l’esistenza – o meno – di una relazione tra zone svantaggiate e presenza di immigrati, alla luce del tasso di disoccupazione. Considerando che Bologna è comunque una città dove il tasso è basso, “questa relazione non esiste, o è molto debole. Quindi, gli immigrati non sono concentrati in zone particolarmente critiche”. Sempre nel periodo 2001-2005, quanto più è aumentato il numero degli immigrati di una data nazionalità, tanto più è diminuita la “distanza residenziale” di quel gruppo rispetto agli italiani. Un risultato “non scontato – sottolinea Barbagli – , poteva avvenire il contrario”. Non mancano tuttavia delle differenze nel grado di segregazione, a seconda delle nazionalità: in assoluto, per ucraini, moldavi e romeni la “convergenza residenziale” è avvenuta a ritmo decisamente più elevato; non altrettanto è avvenuto per slavi, cinesi, eritrei. Uno sguardo, infine, a chi è riuscito ad acquistare una casa: al primo posto i pakistani (un terzo di loro è proprietario). Dunque, “non esistono, né si stanno formando ghetti a Bologna – conclude Barbagli – . L’aumento della presenza immigrata ha visto una diminuzione della segregazione, in questi quattro anni. Infine, contrariamente alla Francia, in città non c’è relazione tra luogo di residenza e svantaggio sociale”.