La marcia degli invisibili


Pubblicato il 15.02.2013 in News Sociale

 

Scendono in piazza a Torino per non farsi dimenticare. Sono i senza dimora, colpiti dalla crisi. Il racconto uno di loro che lotta per la dignità della sua vita 



 

“Abbiamo perso casa lavoro famiglia ma non la dignità” . Con queste parole gli “invisibili” si sono fatti sentire il giorno di San Valentino a Torino. Ieri, qualcuno si è accorto di loro, perché sono scesi in strada, in un mini corteo improvvisato per chiedere casa, diritti, lavoro, servizi di base. Un briciolo di dignità per chi vive al margine. Non barboni, ma senza dimora, perché hanno perso tutto dalla famiglia fino ad un lavoro per colpa della crisi. Negozianti e qualche parrocchia ha aiutato loro a fare gli striscioni necessari.

Ieri circa sessanta persone sono partite da via Nizza per dirigersi verso la sede del Comune. Con loro alcuni operatori e volontari dei dormitori della città piemontese. Ogni mattina si ritrovano davanti ai centri di accoglienza come Casa Santa Luisa. “Ci siamo anche noi, non siamo fantasmi. Siamo reali, siamo i senza fissa dimora” recita un altro striscione. Nel 2012 erano circa 1.250 i posti invernali nel dormitori torinesi per i mesi invernali. Potrebbe sembrare un numero alto se non fosse per la quasi inesistenza di strutture nel circondario. A Palazzo di Città una delegazione è stata ricevuta dall’assessore alle Politiche sociali, Elide Tisi. Le persone hanno presentato un documento con una serie di richieste: da un’aiuto per trovare un lavoro, al miglioramento dei punti di accoglienza presenti, ma soprattutto un appello a non essere dimenticati. “È stato un incontro costruttivo” ha commentato l’assessore, che si è presa 20 giorni per svolgere degli approfondimenti sulle diverse questioni sollevate. “Stiamo già lavorando sul miglioramento di alcuni siti di accoglienza – aggiunge – mentre su altri punti, non di diretta competenza del Comune come una maggiore presenza sanitaria, servono verifiche più approfondite”.

UNO DI LORO – Salvatore insieme ad altre persone ha organizzato la manifestazione. Ha perso il lavoro, prima era in cassa integrazione, poi la strada. Mi spiega ogni richiesta che hanno stillato: “Tra i punti che abbiamo chiesto ci sono la riduzione dei tempi da 18 mesi a 30 giorni per la residenza anagrafica, cosa che aiuterebbe tutti da un punto di vista d’assistenza sanitaria. Poi i tempi per l’assegnazione delle case popolari a senza tetto, chiediamo di accedervi dopo aver trascorso dai 30 ai 90 giorni nei dormitori. Ti spiego se dormi nei dormitori ti assegnano 4 punti l’anno. Per accedere a un alloggio popolare (12 punti ndr) ora come ora dovresti stare almeno tre anni nei dormitori”. Quanti eravate? “Purtroppo eravamo una ottantina di persone, c’è molta gente che si è rassegnata. Poi c’è anche chi tra noi non vuole cambiare vita”. Avete spazi? Salvatore mi elenca le strutture pubbliche e private. Si contano su due mani massimo, parrocchie a parte. “Chiediamo più immobili, magari sequestrati a criminalità organizzata, e che siano aperte sia di notte che di giorno, perché tra noi c’è molta gente malata che vaga durante la giornata in mezzo alla strada”. Con strutture necessarie? “Con un presidio sanitario d’obbligo. Sai perché? Purtroppo quattro giorni fa, una persona che era in attesa per un posto fisso in un dormitorio è morta lì davanti”. Poi abbonamenti gratuiti, che per i disoccupati esistono già ma non per casi particolari che superano i 5mila di redditto annui. “Le persone che hanno lavorato come me fino all’anno prima hanno ancora una dichiarazione Isee che non può permetterlo. Ho già preso 4 multe che con le more in aggiunta, sfiorano già i mille euro totali. Io non voglio fare questa vita. Basterebbero solo due mesi di lavoro per rimettermi in sesto”. A ciò si aggiungono anche altri problemi: “Noi abbiamo manifestato anche per chi, nelle case popolari, ha ricevuto lo sfratto per morosità causa perdita lavoro e malattia. Loro saranno i nuovi poveri”. I problemi non finiscono mai. “Siamo talmente tanti. Un problema grave è che ci si riesce a prenotare in dormitorio tra 30 giorni, poi bisogna trovarne un altro con anticipo. Io ho dormito nel Carrera e ho chiesto per il Traves. Non potevo entrarci. Ci sono liste di 40/50 giorni d’attesa. In pratica io dovrei girare di continuo nei vari dormitori. Ho chiesto alle autorità locali di provare sulla loro pelle quello che si passa. Ho deciso dal giorno 3, giorno da cui sono andato via dal Carrera, di dormire qui nei corridoi dell’ospedale Mauriziano”. Dormi nei corridoi di un ospedale? “Sì, sulle sedie”.

I PROBLEMI – In Italia si stimano 47.648 persone (di cui il 40% nelle regioni del Nord) in stato di povertà. A Torino sono circa 2000, quarta dopo Milano (13 mila senza tetto), Roma, Palermo. Cifra in aumento quando le strutture sono troppo “centriche”. “Circa la meta’ dei senza tetto ospitati in città – spiega Tisi – viene da fuori, cioè non è residente a Torino. Emerge quindi la necessità di governare questi processi in una dimensione più regionale. In questi momenti di crisi, in cui molti perdono il lavoro o vivono situazioni di difficoltà, non può essere solo la città l’unica risposta”. E i soldi sono sempre meno. Il documentario a cura Susanna Ronconi, Angelo Artuffo, Sergio Fergnachino, “Non ci sono più soldi”, pubblicato su Videocommunity spiega al meglio la situazione in città:

GLI ANTECEDENTI - Lo scorso anno diverse associazioni si sono preoccupate di lanciare un allarme e distribuire dei questionari: come una sorta di “censimento”. Nove domande distribuite dai volontari. L’identikit lo riporta Repubblica. Si inzia a parlare di stranieri per poi scoprire che clochard può diventare anche l’amico di sempre: qui rappresentano il 77% del campione, mentre la loro presenza nei centri d’accoglienza cala al 57%. I motivi. L’assenza di un impiego è la causa principale della perdita della casa e riguarda il 30% degli intervistati. Il 22,4%, è senza tetto per l’immigrazione. Altro dato sconfortante è il 17,4% di persone finite per strada dopo problemi in famiglia (separazione, divorzio, perdita dei genitori o litigi mai sanati), come Franco, o come Hassan, marocchino arrivato a Torino dopo la separazione dalla compagna per colpa della suocera. L’11% degli intervistati è stato sfrattato.

Ex impiegati, operai, piccoli imprenditori, c’è di tutto lungo il corteo dei senza dimora. Perfino i papà. Sono numerose le associazioni che aiutano i padri separati in serie difficoltà economiche. I fondi nazionali per gli interventi sociali hanno perso negli ultimi 5 anni il 75% delle risorse complessive stanziate dallo Stato. Tra le associazioni di sostegno torinesi si grida già all’azzeramento fondi. In pratica si gioca alla roulette con la vita di persone sul lastrico per colpa della crisi. Indigenti, senza casa, poveri e sopratutto ancora (purtroppo) invisibili. “Una volta che finisci senza lavoro e senza una casa – racconta Salvatore – purtroppo non vali niente. L’ho scoperto in questi giorni. Sulla mia pelle”.


Autore: Stefania Carboni