''Si tratta di norme per l'integrazione sociale degli stranieri''. Così la Corte costituzionale valida l'impostazione della legge sull'immigrazione dell'Emilia-Romagna, respingendo il ricorso di illegittimità del Governo.
La Consulta ha convalidato l'impostazione della legge sull'immigrazione della Regione Emilia-Romagna, respingendo il ricorso di illegittimità costituzionale presentato dal Governo. Si tratta della legge regionale n. 5/2004, “Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati”, impugnata l’anno scoro dal Consiglio dei Ministri, appena un mese dopo la sua approvazione. Il Governo aveva contesto, in primo luogo, che le disposizioni concernenti l’immigrazione, il diritto di asilo e la condizione giuridica di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea sono di esclusiva competenza dello Stato e non tollerano “intrusioni legislative regionali”. In secondo luogo, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale soprattutto su tre punti: l’istituzione della Consulta regionale per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri (considerata lesiva delle competenze nazionali), il monitoraggio dei due centri di permanenza temporanea di Bologna e Modena e i criteri di assegnazione delle case popolari. Con sentenza n. 300 del 2005 (arrivata di nascosto quest’estate), invece, la Corte Costituzionale ha dato ragione all’Emilia-Romagna.
“Questa legge regionale è stata la prima, in materia di immigrazione, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e dopo la legge Bossi-Fini – spiega l’assessore regionale alle Politiche sociali Anna Maria Dapporto -. Con essa, la Regione ha voluto semplicemente valorizzare le competenze proprie e degli enti locali in materia di integrazione sociale: non certo ‘sconfinare’ rispetto alle competenze regionali in materia di flussi di ingresso, di rimpatri e di espulsioni. Si tratta quindi di una sentenza importante – continua l’assessore Dapporto -, che non solo incoraggia l’Emilia-Romagna nella piena applicazione della legge regionale, ma che può servire da punto di riferimento anche alle altre Regioni italiane (finora solo il Friuli Venezia Giulia è intervenuto in tema di immigrazione) che vorranno legiferare su questa materia. Se però il Governo non concede la seconda tranche del Fondo nazionale per le Politiche sociali – conclude l’assessore -, allora anche le risorse per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri, così come quelle destinate agli anziani, all’infanzia e ai disabili, saranno compromesse e il Governo dovrà assumersi le sue responsabilità”.
Ma quella del luglio di quest’anno non è la prima decisione della Corte costituzionale a favore dell’Emilia-Romagna. Infatti, con la sentenza n. 379 del 2004, la Consulta aveva già dichiarato infondata la censura del Governo avverso la norma statutaria regionale riguardante il diritto di partecipazione alla vita pubblica (compreso il voto nei referendum e nelle altre forme di consultazione popolare) a tutti coloro che risiedono in un Comune del territorio emiliano-romagnolo, compresi gli stranieri regolarmente soggiornanti. La Corte aveva osservato che i “diritti di partecipazione” sono certamente materia di competenza regionale e che le Regioni, mentre non possono estendere il diritto di voto nelle elezioni statali, regionali o locali, ben possono coinvolgere in altre forme di partecipazione e consultazione tutti i soggetti che prendono parte alla vita associata.