Contrari i consiglieri dell'Altra sinistra che promuove il 20 giugno il convegno ''Altro che kit''. Polidori (Sert Forlì): ''L'idea che il controllo dei genitori sui figli sia uno strumento per contrastare la tossicodipendenza non funziona''.
Il Comune di Bologna vuole copiare la Moratti e distribuire il test antidroga alle famiglie che ne facciano richiesta per vedere se proprio figlio fa uso di stupefacenti? I consiglieri dell'Altra sinistra (Rifondazione comunista, Verdi e Il Cantiere) dicono no e lanciano alcune proposte alternative, tra cui una maggiore informazione tra i giovani soprattutto sul consumo critico. Inoltre organizzano il convegno "Altro che kit! L'ignoranza nelle politiche sulle tossicodipendenze fa più danno delle droghe”, che si terrà mercoledì 20 giugno (alle 16 nella sala del Consiglio del Quartiere San Vitale in vicolo Bolognetti 2) e a cui parteciperanno alcuni operatori del settore come Edo Polidori, direttore del Sert (Servizio tossicodipendenze) dell"Asl di Forlì, Marco Batini del Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza e Raimondo Pavarin, direttore dell’Osservatorio epidemiologico metropolitano di Bologna nonché membro della Consulta nazionale sulle droghe del Ministero delle Politiche sociali.
La proposta di distribuire anche a Bologna il kit antidroga, che analizza l’urina come un test di gravidanza, è stata avanzata da An a maggio, prima rifiutata e poi invece abbracciata anche dall’assessore comunale alla Salute Giuseppe Paruolo, che ha precisato come “l’amministrazione non voglia replicare automaticamente il modello di Milano”, dove a circa 3.880 famiglie è stato spedito un coupon per il ritiro gratuito del kit in farmacia, “ma sta pensando a un servizio per chi ne faccia richiesta ai servizi socio sanitari”. Per dovere di cronaca, fino a oggi sono stati ritirati, nelle farmacie milanesi, “circa una settantina di test sui quasi quattromila distribuiti”, dice il direttore del Sert di Forlì.
Ma cosa dicono gli esperti? Sulla questione interviene ancora Edo Polidori. “Innanzitutto bisogna precisare che non si tratta di un kit antidroga ma di un test di controllo sulle urine per vedere se proprio figlio ha fatto uso di sostanze stupefacenti. Altrimenti sarebbe come dire che il test per vedere se una donna è incinta è un test antigravidanza. Detto questo, far passare l’idea che il controllo dei genitori sui figli sia uno strumento per contrastare la tossicodipendenza non funziona: dove vanno a finire l’educazione o il dialogo e la fiducia reciproci? Poi c’è un problema tecnico: per essere sicuri di non analizzare le urine di un amico o della sorella, ad esempio, bisognerebbe chiudersi in bagno con proprio figlio o mettere delle telecamere nascoste… Altra questione: il test è valido solo per determinati tipi di sostanze e non rileva, ad esempio, la presenza di allucinogeni o l’interazione con l’alcol. Ora mi chiedo: se un ragazzo risulta positivo al controllo, che fa la sua famiglia? Si dovrebbe rivolgere ai servizi socio sanitari… Non ha più senso, allora, investire su questi o sulle comunità di recupero piuttosto che spendere soldi per un’analisi delle urine?”, conclude Polidori.
Per tutti questi motivi l’Altra sinistra propone al Comune di Bologna di abbandonare l’idea del kit antidroga (che costerebbe circa 400.000 euro, tanto quanto speso dall’amministrazione nel 2005 per progetti legati ai Sert e a borse lavoro per tossicodipendenti) e di puntare “sulle politiche per la riduzione del danno, sull’informazione tra i giovani, sulla lotta al narcotraffico”, dice Valerio Monteventi, consigliere comunale di Prc. “E’ importante sviluppare nei ragazzi una cultura dell’approccio critico agli stupefacenti, una consapevolezza dei loro effetti e una corretta conoscenza delle sostanze, della loro provenienza o se in giro ci sono cattive 'partite’. L’uso inconsapevole – prosegue Roberto Panzacchi dei Verdi – è la peggior cosa. Inoltre mancano servizi intermedi e interventi differenziati a seconda dei consumatori; tanto per fare un esempio: non si può spedire ai Sert il ragazzino che nel weekend si ‘impasticca’ in discoteca”. “E non basta neanche chiudere i locali in cui si spaccia”, aggiunge Monteventi. “Servono poi più coordinamento tra le istituzioni e gli operatori, materiale divulgativo coerente e non sorpassato, unità di strada presenti anche ai grandi concerti e non solo allo Street rave. Le linee guida in tema di prevenzione e contrasto all’uso delle droghe ci sono già – conclude Panzacchi – e sono la delibera di Giunta regionale n. 1533 del 2006 e le raccomandazioni dell’Unione europea”.
Redattore Sociale