È l'anzianità migratoria il primo fattore d'inclusione nella nuova patria: alla Bicocca si confrontano gli studiosi europei. Avviata un'indagina con 12.500 interviste.
Come misurare l'integrazione degli immigrati nel contesto della loro nuova "patria”. Se lo chiederanno domani ricercatori di tutta Europa riuniti in un seminario all'Università di Milano-Bicocca. “Dalle precedenti indagini che sono state svolte in Italia - spiega Gian Carlo Blangiardo, demografo dell'Ismu e ordinario dell'ateneo milanese - emerge che il primo fattore d'integrazione è l'anzianità migratoria”. Cinque o sei anni, spiega il demografo, sono un margine di tempo entro il quale la maggior parte degli immigrati raggiunge un buon inserimento nella comunità di adozione: “E questo senza alcuna differenza né tra Paese di origine né tra destinazione. Non esiste, insomma, il filippino buono e l'albanese cattivo. Il tempo 'aggiusta le cose' in Lombardia come in Campania”.
Indifferenti anche il fattore religioso e il genere: “Se l'immigrazione delle donne sembra accompagnarsi a una maggiore integrazione -dice Giancarlo Blangiardo- è solo perché avviene spesso come ricongiungimento familiare, in un contesto in cui il marito già lavora. Chi fa da apripista trova sempre maggiori difficoltà”. Una nuova indagine sull'integrazione dei nuovi italiani è stata avviata da sedici diverse istituzioni. Ha come capofila l'Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità, prevede 12.500 interviste che potrebbero essere concluse già entro novembre. Dell'indagine verrà informata domani la comunità scientifica. Ma nel corso di “Measuring integration: comparing experiences across Europe” ci saranno anche interventi di ricercatori europei su altri aspetti legati all'integrazione: quella delle seconde generazioni, ad esempio, o il modello mediterraneo di integrazione.
Redattore Sociale