Indagine Iref-Acli. Bindi e Olivero d'accordo: ''Aumentare il fondo per la non autosufficienza. Il ministro: ''Nel paese ci sono molte emergenze e la coperta è cortissima, bisogna colmare le carenze che si sono consolidate nel tempo''.
È giunto il momento di prendere consapevolezza che il welfare “fatto in casa”, ossia che si affida sul lavoro di collaboratrici domestiche straniere a carico delle famiglie, è una realtà da cui non si può prescindere e che quindi è tempo che il servizio pubblico se ne faccia carico. Se la loro presenza venisse a mancare, la situazione sarebbe tragica per le famiglie italiane, senza contare che nei prossimi anni la loro richiesta aumenterà sempre di più, mentre sta cambiando intanto l’offerta. Andiamo infatti incontro alla cosiddetta “migrazione di scopo” delle collaboratrici domestiche di “nuova generazione”, che si spostano solo per brevi periodi, giusto il tempo di mettere da parte qualche soldo, per poi rientrare in patria, senza garantire un ricambio. La risposta è una sola: l’aumento del fondo per la non autosufficienza, fino a più di un miliardo di euro nel breve periodo, ed una rete di servizi pubblici che si faccia carico della famiglia e dei suoi bisogni, legati soprattutto agli anziani. Questa è la ricetta espressa oggi dal ministro delle Politiche per la Famiglia, Rosy Bindi, intervenuta alla presentazione dell’indagine nazionale Acli-Iref sulle collaboratrici domestiche straniere che lavorano a sostegno delle famiglie italiane. In realtà, il ministro è andato oltre, chiedendosi se non sia possibile che questo tipo di mansione non possa essere svolta in futuro anche da qualche italiana, oppure che ci sia un qualche tipo di riconoscimento, come quello fiscale e previdenziale, per il familiare che decidesse di occuparsene.
"È un sistema che non può reggere – ha denunciato il presidente delle Acli, Andrea Olivero – perché estremamente logorante, sia per le famiglie, che per le lavoratrici immigrate, legate da una dipendenza reciproca e costrette spesso ad accordi al ribasso. Da una parte le famiglie raschiano il fondo del barile dei risparmi, per farvi fronte. Dall’altra è legato ai progetti migratori delle collaboratici di ‘nuova generazione’, orientate più di ieri al rientro a casa in tempi brevi, senza che nessuno possa garantirne il ricambio. Si aprono mercati lavorativi per loro più vantaggiosi sia in patria, dove la situazione è in evoluzione, che in Europa, che nella stessa Italia». Secondo Olivero “servono dei correttivi, ossia l’aumento del fondo per la non autosufficienza, ma anche accrescere l’elemento legalità, cioè vincolare le risorse per le famiglie alla possibilità di diminuire il lavoro nero delle collaboratrici e di aumentarne la retribuzione”. In particolare il presidente, insieme a Pina Bruscolin, responsabile Acli colf, ha fatto le seguenti richieste per le collaboratrici: la preparazione professionale, in modo che si garantisca “un’assistenza qualificata e responsabile”; un sistema di soggetti pubblico-privati che gestiscano il collocamento e la sostituzione; una copertura previdenziale omogenea, con la possibilità di riscattare in patria i contributi versati in Italia; il riconoscimento dell’indennità di malattia, come “questione di civiltà”; un percorso di regolarizzazione agevolata, come già fatto con la sanatoria del 2002; l’aumento della retribuzione.
Secondo il Ministro, nel “paese ci sono molte emergenze e la coperta è cortissima, bisogna colmare le carenze che si sono consolidate nel tempo”, tanto che sarebbe necessario il triplo delle risorse. “Le richieste – ha evidenziato la Bindi – sono tutte legittime e paradossalmente prioritarie, ognuno ha la propria, ma io sono convinta che questa sia quella con qualche stella in più”. È necessario più di un miliardo di euro nel breve periodo, oltre ad un’integrazione socio-sanitaria più netta. “È una riforma del sistema nella vita del nostro paese – ha evidenziato – che bisogna con coraggio affrontare”, tanto più che “la risposta alla non autosufficienza è una risposta anche alle giovani generazioni”, in quanto si liberano delle risorse che le famiglie potranno usare a loro vantaggio e sarà comunque un problema che una volta divenuti adulti si troveranno a dover affrontare anche loro.
“Il welfare fatto in casa – ha continuato – deve entrare a pieno titolo dentro la rete dei servizi pubblici, proprio in nome della personalizzazione delle risposte, ma superando la privatizzazione”. Per la Bindi, l’assistente domiciliare deve essere “riconosciuto a pieno titolo come colui che ha in carico la persona non autosufficiente”. Il ministro si è trovato d’accordo con tutte le richieste che le sono giunte dall’Acli, tranne che su due. Secondo lei, “la retribuzione è già dignitosa, visto che gli stipendi medi degli italiani sono inferiori”, mentre le collaboratrici non devono nemmeno preoccuparsi di pagare vitto e alloggio. Rispetto alla copertura previdenziale, che preveda la possibilità di riscattare i contributi versati, la Bindi è favorevole ad “un sistema previdenziale modulato”, per cui anche in questo caso, fissati alcuni paletti, si tratta di trovare il percorso più adatto ad ogni singola persona.
Redattore Sociale