In Lombardia 400mila poveri, anche l'affitto è un problema


Pubblicato il 28.02.2012 in News Sociale

Le famiglie in difficoltà sono diecimila in più rispetto allo scorso anno, a causa del precariato della perdita del lavoro e del costo della vita. Li assistono volontari e organizzazioni religiose 

Madri e padri separati con figli piccoli da sfamare, o senza casa. Precari che non arrivano alla fine del mese. Disoccupati che non sanno più come far fronte ai debiti contratti per pagare le spese correnti, le bollette, il cibo al discount. Un esercito di 143mila famiglie lombarde, oltre 134mila nella sola città di Milano, che di anno in anno si ingrossa, con una lenta ma inesorabile impennata. È il ritratto della povertà in Lombardia così come lo racconta l’ultimo rapporto dell’Ores, l’Osservatorio regionale sull’esclusione sociale coordinato dal docente dell’università Cattolica Giancarlo Rovati. L’Osservatorio regionale sull’Esclusione sociale calcola che il 3,4 per cento delle famiglie lombarde, secondo gli inflessibili e precisissimi parametri Istat, viva sotto la soglia della povertà assoluta, con circa il 20 per cento in meno dello stipendio necessario. Oltre 10mila famiglie in difficoltà in più rispetto all’anno scorso. Sono cifre che dal 2008 anno di inizio della grande crisi economica sono aumentate costantemente anno dopo anno, sempre di pochi punti percentuali, ma senza eccezione. Questo ha portato nell’ultimo anno oltre 397mila persone (quasi il 4 per cento dei residenti) a chiedere aiuto a uno dei 1.614 enti di assistenza in Lombardia, dalla Caritas alle mense dei Francescani, dall’Opera San Vincenzo al Banco alimentare. I poveri sono raddoppiati in cinque anni e la crisi che avanza non promette nulla di buono. Fuori dalle chiese non si allungano code di immigrati clandestini senza nome o di clochard abituati da tutta la vita a dormire sul marciapiede: il professor Rovati descrive gli utenti del (fortunatamente) molto vasto circuito assistenziale lombardo come una folla enorme di «nuovi poveri»: persone rimaste fuori dal circuito lavorativo o ancora dentro ma sottopagate, in condizione di precarietà, gente che chiede cibo o farmaci alla parrocchia perché ha perso il lavoro, perché il magro stipendio non basta a pagare l’asilo, perché con lo sfratto si rischia di finire per la prima volta a dormire in strada, perché la separazione li ha lasciati senza casa o senza soldi. 

LE CAUSE. I percorsi attraverso i quali si precipita nella condizione di povertà sono di natura prevalentemente economica, dice il Rapporto Ores. Per il 55 per cento dei 397mila assistiti dal volontariato in Lombardia le ragioni dello stato di bisogno sono la perdita o la mancanza di occupazione, da cui deriva un reddito insufficiente a far fronte ai carichi familiari e ai debiti. Fra le categorie degli assistiti dal volontariato, i licenziati e disoccupati sono aumentati fino al 20 per cento in un anno. Per il 31 per cento sono determinanti anche i problemi di salute e le difficoltà relazionali. Poi ci sono molte concause, come le separazioni, tanto che fra gli utenti dei centri caritativi sono cresciuti quasi del 20 per cento i genitori soli neoseparati con bambini, sia uomini sia donne. Forte è anche il tema della perdita della casa, mentre stabile, anche se preoccupante, rimane la quota di poveri con dipendenza da alcol o droghe che rendono particolarmente fragili le capacità lavorative e relazionali. 

LE FAMIGLIE. Finisce sotto la soglia di povertà, secondo i parametri Istat, una famiglia media di tre persone con un reddito di 1.260 euro, o un nucleo di cinque componenti con 1.842 euro al mese, se vivono in un’area metropolitana del nord come Milano. In questa condizione, secondo l’ultimo censimento dell’Ores, si trovano 143mila famiglie lombarde, il 3,4 per cento dei residenti, lo 0,2 per cento in più rispetto all’anno precedente. Una quota di poco inferiore al valore medio nel nord Italia (3,6 per cento) e più basse rispetto al 4,7 per cento medio nazionale. Secondo il rapporto le famiglie in povertà avrebbero bisogno in media di un 20 per cento in più di stipendio per raggiungere uno standard di vita minimamente accettabile, cioè circa 190 euro medi per famiglia in più al mese. Una situazione che è andata peggiorando dal 2008 in avanti, quando la crisi economica è esplosa in tutta la sua evidenza. E il pericolo di cadere in miseria riguarda più le famiglie numerose. 

I SENZATETTO. Una volta erano i clienti fissi, ma anche gli unici utenti delle mense dei poveri e dei guardaroba gestiti dai frati francescani. Oggi i clochard in senso classico non sono più del 5,6 per cento del totale di chi chiede aiuto alla Chiesa o al volontariato laico. Si parla di oltre 22mila persone in Lombardia, oltre la metà dei quali concentrati in provincia di Milano. Se una volta il 'senza fissa dimora' classico era un cittadino italiano, anziano, con gravi problemi psichici o di relazione, oggi nel pattuglione sono entrati a pieno titolo molti stranieri (il 55 per cento del totale), clandestini senza documenti e quindi senza accesso al mercato del lavoro e all’assistenza familiare. Fra questi, molti assommano alla mancanza di un tetto problemi psichici e sanitari che rendono molto difficile il recupero sociale. Rispetto alle altre categorie di poveri censite e aiutate in Lombardia, il numero dei clochard tradizionali è stabile o in leggero calo secondo gli enti che li soccorrono sulla strada.

IL FOCUS. I frati dell’Opera San Francesco, con velocità statistica sorprendente, hanno già elaborato i dati relativi a tutto il 2011. Con 712.387 pasti offerti durante l’anno nonostante un mese di chiusura per la ristrutturazione della mensa in corso Concordia hanno registrato un aumento del 2,8 per cento rispetto all’anno prima. Padre Maurizio Annoni guarda con preoccupazione anche ai dati degli ultimi mesi, che parlano di un aumento di 400 richieste al giorno, tanto che si è passati da una media giornaliera di 2.200 pasti dell’anno scorso al record assoluto dei 2.635 del mese di ottobre. È vero che quest’anno c’è stato il 'grande freddo' ma è vero anche, come spiega Annoni, che «ormai in coda per un piatto di minestra non si mettono più solo i clochard, ma sempre più padri e madri di famiglia, italiani, disoccupati, che non ce la fanno a trovare lavoro o ad arrivare alla fine del mese». I francescani hanno avuto anche 33mila pazienti nell’ambulatorio medico e 27mila utenti delle docce.


Autore: ZITA DAZZI