Ma solo se somministrato ad alto dosaggio e a lungo termine. Lo afferma una ricerca su 10mila eroinomani in trattamento presso i Ser.T. tra il 1998 e il 2001, presentata all'Istituto superiore di sanità.
Il trattamento con il metadone si è rivelato negli ultimi anni il più efficace nella lotta contro le tossicodipendenze da eroina. Ma con delle precise condizioni che se non vengono rispettate, rischiano di vanificare ogni intervento e di renderlo addirittura controproducente. E' questo uno dei risultati più evidenti della ricerca presentata questa mattina a Roma nella sede dell"Istituto Superiore di Sanità. Si tratta dello studio VEdeTTE (Valutazione di efficacia dei trattamenti per la tossicodipendenza da eroina), uno dei più importanti studi "osservazionali" mai effettuati nel nostro paese (il campione esaminato supera le 10 mila persone, tutte dipendenti dall’eroina) ed è anche il primo studio di questo genere condotto in Italia dal Dipartimento di Epidemiologia dell’Asl di Roma E e dall’Osservatorio Epidemiologico delle dipendenze del Piemonte e con la collaborazione dell’Iss, l’Istituto superiore di sanità. Il professor Enrico Garaci, presidente dell’Iss, ha sottolineato in apertura dei lavori l’importanza delle conclusioni a cui sono giunti i ricercatori che hanno curato lo studio. Si tratta di nuove informazioni che sono essenziali alla scelta delle pratiche terapeutiche e delle politiche sanitarie. L’abuso di droga - ha detto Garaci – ha una dimensione globale e l’Ufficio delle Nazioni Unite ha stimato che nel 2006 i consumatori abituali sono ormai più di 200 milioni, una cifra che equivale al 5 per cento della popolazione mondiale di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Dal 1985 al 2001 i sequestri di droga nel mondo sono aumentati di circa il 400 per cento. Un fenomeno quindi in crescita e nientaffatto sotto controllo come spesso si cerca di affermare. In particolare Garaci ha sottolineato l’importanza dello studio VEdeTTE che si è basato su 115 Ser.T di 13 regioni italiane. I risultati dello studio sono stati poi messi a confronto con tutti i dati disponibili a livello internazionale. Su questo piano ha lavorato il Gruppo Cochrane che studia le droghe e l’alcool, che sta realizzando – in collaborazione con l’Iss – una revisione sistematica dei trattamenti delle tossicodipendenze e dell’alcolismo. Un’introduzione ai risultati finali di queste ricerche è stata fatta anche da Jarre, il coordinatore della Consulta dello società scientifiche e delle associazioni professionali del campo delle dipendenze patologiche. Secondo Jarre, che ha sottolineato anche la novità della Consulta stessa, organismo che per la prima volta mette a frutto tutte le competenze e le energie attive in questo settore, ha voluto polemizzare contro un certo modo di costruire le decisioni politiche che spesso non tengono conto delle evidenze scientifiche e che anzi qualche volta si pongono perfino in contrapposizione con la scienza.
Così, dopo un saluto della dottoressa Saccone, (dipartimento antidroga del ministero della Solidarietà Sociale) e dopo gli interventi brevi dei presidenti delle società scientifiche che compongono la Consulta, si è passati all’analisi dei risultati veri e propri degli studi. Marina Davoli (Dipartimento di Epidemiologia Asl RmE di Roma), ha parlato della pratica clinica e delle evidenze scientifiche e dei ritardi con cui vengono recepite le scoperte scientifiche nella concreta terapia e perfino nei libri di testo di medicina. Eppure, secondo Marina Davoli, si è andati molto avanti con le conoscenze, mentre dal 2003 si è cominciato a lavorare sulle linee guida sugli oppiacei anche in relazione a quello che sta producendo l’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità. Lo studio italiano è stato integrato con i dati internazionali, aggiornati ogni tre mesi sulla rivista The Cochrane Library. Da tutti questi studi e dall’analisi dei questionari fatti compilare a 10 mila tossicodipendenti che hanno frenquentato i Ser. T. tra il 1998 e il 2001, risultano dunque una serie di conclusioni che gli scienziati mettono a disposizione dei loro colleghi e soprattutto dei decisori politici. Una delle prime evidenze riguarda il rischio di mortalità dei tossicodipendenti da eroina. Questo rischio cresce di 10 volte quando i tossicodipendenti decidono di abbandonare il trattamento. Il rischio di morte per overdose cresce anche quando si è concluso il ciclo di trattamento, soprattutto durante il primo mese “fuori”. L’altra evidenza importante riguarda la durata del trattamento. Sempre dai dati racconti nell’indagine, risulta che se il trattamento è breve rischia perfino di essere controproducente e di produrre danni.
Ma la scoperta-evidenza su cui più si è insistito durante il seminario di oggi all’Istituto superiore di sanità riguarda le quantità di metadone utilizzato. A basse dosi (40 milligrammi o meno al giorno) non sembra che i trattamenti siano efficaci per far uscire il tossicodipendente. Nel caso americano c’è già stato un precedente. In uno studio sulla città di New York si è visto che le quantità di metadone somministrato sono progressivamente aumentate producendo effetti positivi. Discorso sulla stessa lunghezza d’onda quello di Laura Amato, (Dipartimento di epidemiologia Asl RmE-Roma), secondo la quale tutti gli studi nazionali e internazionali depongono a favore dell’efficacia del metadone, ma con il presupposto che si utilizzino alti dosaggi (60 mg). Tutte le ossrvazioni fatte, sempre secondo Laura Amato, dimostrebbero una maggiore efficacia dei trattamenti con metadone ad alti dosaggi sia per dare speranze concrete del superamento della dipendenza da eroina, sia soprattutto nella riduzione del rischio di morte per overdose e di riduzione di altri rischi correlati, quali per esempio l’Hiv. Il metadone – ha detto Laura Amato – risulta quindi altamente protettivo, una protezione che viene potenziata in caso di interventi paralleli di ordine psicosociale.
Vediamo quindi qualche dato sintetico tratto dagli studi presentati oggi. Sul campione di 10 mila persone esaminate, l’86 per cento è costituito da uomini, con una età media di 31 anni. Da questo campione emerge una figura del tossicodipendente non scontata visto che che circa il 60 per cento ha dichiarato di avere un lavoro, l’80 per cento ha fatto uso di eroina per via endovenosa con un primo approccio intorno ai 20 anni. L’8 per cento del campione è risultato positivo all’Hiv, al 12 per cento è stata diagnosticata una patologia psichiatrica aggiuntiva alla tossicodipendenza e il 41 per cento ha riferito nelle interviste pregressi episodi di overdose. Dalle interviste effettuate sui tossicodipendenti che hanno frequentato i Ser.T tra il 1998 e il 2001, è risultato anche che i trattamenti effettuati dagli operatori sono stati insufficienti. La dose media di metadone nel trattamento di mantenimento è stata in quel periodo pari a 41 mg al giorno. Il risultato pratico è stato che circa l’80 per cento dei tossicodipendenti trattati con metadone hanno avuto in realtà un trattamento inadeguato, ovvero con almeno 20 milligrammi di metadone in meno al giorno di quello che viene indicato in tutta la letteraura scientifica e che ora viene confermato anche dallo studio di VEdeTTE e dall’analisi incrociata dei dati Cochrane. Molto chiare anche le evidenze a proposito di rischio di morte. In generale un tossicodipendente ha un rischio di morte 10 volte superiore rispetto al resto della popolazione. Ma se confrontato con quello della popolazione generale, i tossicodipendenti in trattamento (ovvero assistiti nei Ser. T. o nelle comunità) hanno un rischio di morte circa 4 volte superiore, mentre i tossicodipendenti usciti dal trattamento hanno un rischio di oltre 20 volte superiore. Evidente quindi l’effetto appunto “protettivo” del trattamento, mentre il rischio più alto di morte si riscontra nei primi 30 giorni di uscita dal trattamento stesso. Se questi sono i principali dati “oggettivi” che emergono dallo studio, molte sono le interpretazioni e le domande che rimangono aperte per capire un fenomeno in velocissima trasformazione. Si tratta di capire, infatti, cosa succede oltre i confini dei Ser. T. e delle Comunità. E che cosa succede ogni giorno, realmente nel consumo di droghe, a partire dalle nuove sostanze. In fondo lo studio presentato oggi rappresenta solo uno spaccato: quello delle tossicodipendenze da eroina. E tutto il resto? (vedi lancio successivo)
Redattore Sociale