Il 60% delle famiglie di immigrati vuole restare definitivamente in Italia


Pubblicato il 06.07.2006 in News Sociale

Soprattutto chi ha figli ha pensato per loro un futuro ''italiano'' (65%). Le anticipazioni della ricerca ''Famiglie migranti'', primo rapporto sui processi d'integrazione delle famiglie immigrate nel nostro paese realizzato dall'Iref.

Quasi il 60% delle famiglie di immigrati residenti nel nostro Paese sono intenzionate a restare definitivamente in Italia; anzi, soprattutto chi ha figli ha pensato per loro un futuro “italiano” (65%). Dati emersi dalle anticipazioni della ricerca “Famiglie migranti”, primo rapporto nazionale sui processi d’integrazione sociale delle famiglie immigrate nel nostro paese (su un campione rappresentativo di 1.000 famiglie immigrate di oltre 31 nazionalità), realizzato dall’Iref, l’Istituto di ricerca delle Acli, per conto del Patronato Acli. L’indagine (realizzata con interviste “face to face” sulle origini, le condizioni e le prospettive della permanenza delle famiglie immigrate nel nostro Paese) è stata presentata questa mattina presso la sede nazionale delle Acli. Circa 216.824 i nuclei familiari formati da stranieri provenienti da “paesi a forte pressione migratoria”, afferma l’Iref, derivando i dati dal Censimento Istat del 2001 sulla popolazione italiana, pubblicati nel giugno del 2005. A questi numeri, che comprendono una quota significativa di famiglie uni-genitoriali (33.856), vanno aggiunti i circa 140mila visti per ricongiungimento familiare rilasciati tra il 2001 e il 2004, secondo l’ultimo Dossier statistico sull’immigrazione di Caritas-Migrantes.

Innanzitutto, il 63% delle famiglie immigrate residenti vivono in Italia da meno di 8 anni. Un arrivo avvenuto in un contesto legislativo caratterizzato dalla Turco-Napolitano e dalla Bossi-Fini. Nel 32% dei casi il membro della famiglia che ha rilasciato l’intervista è entrato in Italia senza alcun permesso di soggiorno. Ma il numero di ingressi irregolari risulta in calo costante. Dal 38% di chi entrato in Italia più di 8 anni fa, al 32% di chi è giunto nel nostro Paese sotto la Turco-Napolitano (da 5 a 8 anni fa), al 24% di chi è arrivato da meno di 4 anni, cioè sotto la legge Bossi-Fini. In quest’ultimo periodo prevalgono i visti di soggiorno temporanei (per studio e per turismo) con il 51% (a fronte di un dato medio del 46%). “Sembra cioè innalzata la quota dei cosiddetti over-stayers: coloro che sono entrati in Italia con un visto temporaneo e hanno poi passato un periodo nell’illegalità, in attesa magari di trovare un lavoro legale”, evidenzia la ricerca Iref, osservando: “Sebbene la Bossi-Fini fosse stata pensata proprio per favorire l’immigrazione a scopo lavorativo, questi visti sono aumentati solo del 2% rispetto al regime legislativo precedente. L’introduzione della Turco-Napolitano aveva segnato invece un incremento del 6%”.

Per quanto riguarda la tipologia, le famiglie di immigrati in Italia sono costituite soprattutto da coppie giovani (65% sotto i 40 anni), di media o alta istruzione (72%), con uno o più figli (56%). Il 35% delle coppie non ha figli, mentre il 9% sono famiglie mono-genitoriali oppure co-abitazioni di persone legate da altri vincoli di parentela (zio/a e nipote, cugini). I nuclei familiari composti da 3 persone sono il 27%, mentre poco meno del 25% è costituito da famiglie di 4 persone. Infine, le famiglie più numerose (5 persone e più) ammontano al 19% del totale, contro il 10% della popolazione generale (Censimento Istat). “Una differenza legata anche al fatto che i nuclei familiari di immigrati si trovano spesso ad ospitare parenti nella propria abitazione”, fa notare la ricerca Iref. Il livello di istruzione dei coniugi immigrati (“capitale culturale”) appare medio per il 38% delle famiglie intervistate e alto – dal diploma in su – per il 34%. “Dati che confermano, almeno in parte, la considerazione alquanto diffusa circa l’alta qualificazione delle migrazioni contemporanee”, commenta l’indagine. Le coppie di immigrati sono formate per lo più da coetanei. Il 65% degli intervistati ha meno di 40 anni, il 27% è al di sotto dei 50. La giovane età delle famiglie è confermata anche dal dato relativo all’età del primo figlio, che ha meno di 10 anni in oltre la metà dei casi. Il 40% delle famiglie intervistate si dichiara musulmana, il 24% cattolica, il 16% ortodossa, il 6% buddista. I non-credenti costituiscono il 9%. I “praticanti” assidui sono quasi il 40%, mentre il 27% partecipa solo sporadicamente e il 23% dichiara di non essere praticante. La frequenza assidua ai riti religiosi tende a caratterizzare soprattutto i nord-africani (58%), gli indiano-cingalesi (49%) e gli ispano-cattolici (45%). “Tuttavia, non tutti gli immigrati di religione musulmana vivono in modo così intenso il proprio credo religioso come il senso comune tende invece a pensare: la più bassa percentuale di praticanti assidui si registra proprio all’interno del gruppo slavo-musulmano (22%)”, evidenzia l’Iref. Il 15% degli intervistati affermano, infine, di esser stati costretti a modificare le proprie abitudini religiose per l’assenza di luoghi di culto o, semplicemente, perché è difficile conciliare i tempi della religiosità con gli impegni di lavoro e la famiglia.


Autore: Lab
Fonte: Redattore Sociale