I "senza dimora" sono molti di più. Le statistiche tendono a sottostimare


Pubblicato il 14.10.2011 in News Sociale

Lo spiega Paolo Pezzana presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza un tetto che assieme al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, alla Caritas e all'Istat ha inaugurato la ricerca "Dai un nome agli invisibili", uno studio condotto in 12 aree metropolitane, nei comuni sopra i 100 mila abitanti 


ROMA - È l'altro censimento. Quello che non prevede moduli Istat nelle cassette della posta perché loro un indirizzo postale non ce l'hanno. Eppure, per la prima volta, dal 1999, saranno contati di nuovo, uno ad uno. Nelle piazze, per strada, seduti sulle panchine o nelle stazioni. Così, attraverso un algoritmo elaborato dall'Istituto italiano di statistica, se ne conoscerà il numero preciso.

 

Diciassette mila 12 anni fa. Oltre 60 mila oggi. All'ultima rilevazione, i senza tetto d'Italia risultavano essere quasi tutti uomini (80%) tra i 28 e i 47 anni, metà italiani, metà stranieri. Oggi, potrebbero essere molti di più perché "il numero (60 mila) è sicuramente sottostimato". Così spiega Paolo Pezzana, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fiopsd) che insieme al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, alla Caritas e all'Istat ha inaugurato la ricerca "Dai un nome agli invisibili", uno studio condotto in 12 aree metropolitane, nei comuni sopra i 100 mila abitanti e in tutti i capoluoghi di provincia. 

 

Povertà estrema. La prima fase del censimento si è conclusa dopo aver setacciato i servizi dedicati ai senza tetto di 12 aree metropolitane, nei comuni sopra i 100mila abitanti e in tutti i capoluoghi di provincia. La seconda fase partirà il 20 novembre e sarà condotta attraverso 5500 interviste ai senza tetto d'Italia ospitati presso le realtà censite nella prima fase che erogano servizi di mensa o accoglienza notturna. Tre gli obiettivi: l'identificazione dei profili delle persone senza dimora e della loro condizione, la quantificazione più precisa delle persone senza dimora nel nostro Paese, l'inserimento, tra i dati rilevati da Istat, della categoria della povertà estrema, diversa dalla povertà relativa e assoluta. La povertà assoluta viene già registrata dall'istituto di statistica in base all'indagine condotta annualmente sui consumi delle famiglie. Dunque se è vero che tutte le persone in povertà estrema sono anche in povertà assoluta, non è vero il contrario. Non solo. 

 

Un nuovo metodo per il censimento. Quest'anno, come nel 2001, l'Istat ha riservato nel censimento 'regolarè due capitoli (il quinto e il sesto) alla rilevazione della popolazione senza tetto. Le modalità operative della raccolta dati sono le seguenti: simultaneità (raccolta dei dati in un giorno prefissato al fine di evitare duplicazioni), rinuncia all'autocompilazione normalmente prevista per i rispondenti, impiego di rilevatori particolarmente qualificati assistiti da "agenti comunali" e una preventiva ricognizione del territorio.   

 

Dati sottostimati. Ma se dalla teoria si passa a considerare i risultati già ottenuti nel 2001, sembra di poter affermare che, dieci anni fa, il numero delle persone che vivono in questa situazione di disagio abitativo è stato sottostimato. Ecco perché serve, questa volta, un censimento alternativo che, spiega la Fiopsd parta "dalla residenza fittizia considerando come abitazione tutte le strutture presso cui i senza dimora possono ottenerla". 

 

La sicurezza non c'entra. Una ricerca che permetta cioè, di modificare l'approccio alla questione. Il 6 luglio del 2010 infatti, il Dipartimento per gli affari interni e territoriali ha inaugurato il registro delle persone senza fissa dimora. Un provvedimento, questo, applicato in attuazione della legge sulla sicurezza pubblica del 2009 (il pacchetto sicurezza, lo stesso che ha introdotto il reato di clandestinità), come se i senza tetto fossero un pericolo per la collettività. Ed ecco il punto e il cambio di prospettiva. Lo scopo de censimento inaugurato dalla campagna "Dai un nome agli invisibili" non è più quello di schedare i barboni, ma quello di spingere affinché le istituzioni comprendano le ragioni dell'emarginazione (non sempre e solo economiche) e provvedano con politiche pubbliche non più meramente emergenziali.


Autore: GIULIA CERINO
Fonte: La Repubblica