A Roma tasso di mortalità più alto tra gli anziani soli con reddito basso. Lo rileva il rapporto 2005 della Caritas che dal 1983 gestisce un servizio di medicina di base.
“Si allarga la forbice tra lo stato di salute della popolazione più avvantaggiata e quello della popolazione appartenente alle classi sociali più disagiate”. Così rileva il “Rapporto su povertà e disagio a Roma 2005”, della Caritas diocesana, intitolato “La città presente”, edito da Franco Angeli. ”Vi sarebbe una relazione inversa, che lega contesti socio-economici poveri, a morbosità e mortalità più elevate”; ovvero “i più indigenti, i meno istruiti, coloro che si collocano ai margini della società, si ammalano più facilmente e muoiono precocemente”. I motivi di questa relazione, sono da ricercare da una parte nella maggiore propensione, riscontrata tra le persone appartenenti alle fasce più deboli e meno istruite, di praticare comportamenti meno salubri; e dall’altra, nel fatto che chi possiede un livello economico medio-basso, svolge spesso lavori pesanti, con conseguente esposizione ad agenti inquinanti e sostanze tossiche. Nella Capitale, nel 2000, sono state rilevate un totale di 470.298 ospedalizzazioni; corrispondenti al 17% della popolazione (54% donne e 46% uomini). Gli anziani oltre i 75 anni e coloro con un’età compresa tra 65-74 anni, rappresentano gli individui che più spesso si rivolgono alle strutture sanitarie; con tassi di ospedalizzazione rispettivamente del 36% e del 28%. In particolare gli uomini solitamente sono coniugati, mentre le donne risultano per lo più vedove. Il 77.2% delle ospedalizzazioni degli ultra65, risulta di tipo “ordinario”; mentre solo nel 22.8% si tratta di “day ospital”.
Questo dimostra che “gli anziani sono costretti a percorrere la via della guarigione più lunga”. Anche in tal caso inoltre, si evidenzia una relazione inversa tra il fenomeno e la condizione socio-economica dei soggetti interessati: la percentuale di ospedalizzazioni ordinarie cioè, diminuisce al crescere di quest’ultima. In altre parole “più è alto il livello socio-economico, minore è il tempo speso nelle strutture ospedaliere”.
Lo stesso tasso di mortalità negli istituti di cura pubblici, è più elevato tra la popolazione anziana con reddito minore; poiché si tratta di “persone sole, prive di una rete familiare in grado di gestire l’ammalato allo stato terminale”. Non bisogna tralasciare di considerare che coloro che versano in uno stato d’indigenza, automaticamente vengono anche a trovarsi in una situazione in cui, l’accesso ai servizi di tutela della salute, diventa molto più complicato. Questo naturalmente rappresenta un’ulteriore spiegazione del fenomeno della “morbosità e mortalità più elevata”, all’interno di tali classi sociali. E’ per far fronte a questo problema che, dal 1983, la Caritas ha organizzato un servizio di medicina di base, rivolto appunto a chi non ha garanzia di alcuna assistenza sanitaria pubblica e gratuita. Gli obiettivi sono quelli di “assicurare un diritto a chi non ce l’ha o non lo riesce ad esercitare; stimolare le autorità a prendersi carico di alcune problematiche; verificare il fenomeno per individuare le risposte più adeguate; sensibilizzare la comunità ed in particolare il mondo sanitario, ad una maggiore disponibilità e solidarietà con gli emarginati”. La rete di ambulatori dell’Area sanitaria della Caritas romana, dal 1983 al 2004 ha visitato per la prima volta quasi 80.000 pazienti, di oltre 140 nazioni; erogando annualmente circa 20.000 visite di base, specialistiche ed altre prestazioni sanitarie (in totale 400.000). In tal modo essa ha svolto anche la funzione di vero e proprio “osservatorio di campo”; il cui monitoraggio ha permesso di intuire cambiamenti e novità, soprattutto all’interno di quel mondo sommerso dell’immigrazione regolare e irregolare, in cui le difficoltà di accesso ai servizi di tutela della salute, si fanno sentire in modo ancora più marcato.
Redattore Sociale