Alessandro Radicchi, direttore dell'ONDS, spiega il ruolo di questi centri durante le fasi dell'emergenza Covid
Le stazioni, crocevia di persone e vite in movimento, sono spesso luoghi nei quali si concentrano forme di disagio sociale e povertà. Ad affrontare il fenomeno dell’emarginazione sociale ci sono gli Help Center, nati grazie alla collaborazione tra Ferrovie dello Stato Italiane, gli enti locali e il terzo settore
Gli Help Center, ospitati nei locali concessi in comodato d’uso gratuito da FS, sono sportelli d’ascolto “a bassa soglia”, cioè privi di un filtro all’ingresso. Hanno l’obiettivo di intercettare e prendere in carico i più deboli e avviarli verso percorsi di recupero, collaborando con i servizi sociali e le istituzioni preposte. Sono 16 in tutta Italia e nel 2019 hanno effettuato 519.007 gli interventi, mentre sono state 22.386 le persone che vi si sono rivolte.
Nel 2020 la pandemia ha accentuato le diseguaglianze e reso ancora più vulnerabili le fasce deboli della popolazione. Alessandro Radicchi – direttore dell’Osservatorio Nazionale della Solidarietà nelle Stazioni Italiane che svolge attività di coordinamento di tutti i centri, formazione per gli operatori e analisi nell’ambito del disagio sociale – spiega il lavoro degli Help Center durante le varie fasi dell’emergenza Covid.
Che ruolo hanno svolto gli Help Center nel 2020?
Hanno completamente riadeguato la programmazione originaria in ragione delle esigenze legate alla pandemia da Covid-19 e alle conseguenti direttive emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per fronteggiare l’emergenza. L’impatto di tali misure ha determinato conseguenze diverse in ciascun territorio che hanno portato a rivedere le modalità di erogazione dei servizi, concentrate prevalentemente su attività di bassa soglia e di fornitura beni primari. La principale conseguenza dello stravolgimento determinato dalla pandemia è stata la convergenza del lavoro degli operatori e delle loro energie, fisiche ed intellettuali, sulla rimodulazione dei servizi, sullo studio dell’evoluzione della normativa, sul reperimento di fondi e risorse straordinari, per offrire alle migliaia di persone abbandonate a loro stesse almeno il conforto di una presenza amica.
Pertanto, nel 2020, i centri hanno concentrato le loro azioni essenzialmente su due assi:
- Messa in sicurezza: con interventi di bassa soglia per le persone più fragili, sia sul piano sanitario che sociale, intensificando le azioni di pronto intervento sociale e di supporto. Sono stati incrementati i servizi di doccia e cambio indumenti per le persone non accolte stabilmente al fine di mantenere condizioni igieniche dignitose e compatibili con la prevenzione sanitaria; reperimento e distribuzione dei kit di emergenza e sostegno alle persone bisognose con la raccolta e la distribuzione di generi alimentari e di prima necessità;
- Condivisione e cooperazione: oltre alla mappatura quotidiana dei servizi aperti e disponibili, sono state attivate iniziative che hanno sostenuto il collegamento costante tra tutti i servizi operativi per le persone con marginalità, le imprese locali, i donatori e i cittadini che, sia in fase acuta che nella fase 2, hanno a vario titolo collaborato alla cura e al supporto delle persone in difficoltà.
Allo stato attuale, si può affermare che questa azione, sviluppata con costanza, nonostante le mille difficoltà anche logistiche, ha permesso di costruire uno zoccolo duro di collaborazione, sul quale è lecito pensare di poter ricostruire, nei mesi a venire e in assenza di una grave recrudescenza della pandemia, percorsi di inclusione ed integrazione per la popolazione target degli Help Center. Si è trattato di una grande azione sinergica e creativa, in cui la società civile, forse più di altre istituzioni, si è fatta carico dei bisogni di una parte di popolazione più trascurata, attraverso la rete degli Help Center ONDS, il cui compito è stato duplice: da un lato, ha assistito materialmente chi aveva bisogno, convogliando la solidarietà di numerosissimi sostenitori; dall’altro, ha promosso un’azione di advocacy che, con un impressionante ritorno mediatico, ha risvegliato e tenuto vivo l’interesse per chi, mentre tutti si chiudevano in casa, la casa non ce l’aveva.
A partire dall’esperienza degli Help Center, quanto e come ha inciso la pandemia sulle fasce di popolazione più deboli?
Anzitutto le forti limitazioni dettate dalle norme vigenti hanno limitato la possibilità di usufruire di tutti quei servizi dedicati alle marginalità, determinando un ulteriore scollamento sociale per tutti coloro che già vivono ai margini. Questo vulnus ha contribuito, e ancora contribuisce, ad esasperare la situazione di chi per vivere dipende dai servizi sociali e che ha perduto, in questi lunghi mesi, non solo i punti di riferimento della sua già precaria quotidianità, ma anche il diritto al ritorno alla normalità, che tutti gli altri cittadini hanno potuto, invece, sperimentare, pur nei limiti delle circostanze.
Le difficoltà di ordine sociale ed economico insorte a seguito della pandemia hanno determinato, inoltre, un impoverimento diffuso che coinvolge ampie fasce di popolazione che si sono aggiunte alla platea dei beneficiari storici degli Help Center. Il contesto socio-economico è cambiato radicalmente in termini di opportunità di relazione e di sviluppo individuale. Il Covid, ma soprattutto le conseguenze del lockdown, le insicurezze circa il futuro, la mancanza di una visione di breve e lungo periodo hanno contribuito ad appesantire le ombre sulle spalle delle persone vulnerabili. Alle difficoltà quotidiane preesistenti si è aggiunta l’assenza di una prospettiva non tanto individuale, sparita da tempo sotto il peso di diverse tipologie di problemi e preoccupazioni, ma collettiva, ossia la mancanza di un contesto a cui fare riferimento, un sistema a cui tornare ad appartenere.
Questo ha significato fare i conti con una nuova forma di povertà, se possibile ancora più disperata di quella che viene definita estrema. Persone che fino al 3 marzo lavoravano dignitosamente e riuscivano a mantenere una famiglia, si sono trovate all’improvviso impossibilitate a provvedere alle esigenze quotidiane: fare la spesa, pagare l’affitto e le bollette, in un attimo sono precipitate in un abisso. Una condizione sconosciuta prima, a cui non hanno saputo rispondere e soprattutto che ha portato con sé una variabile non prevista e molto pesante: l’incertezza, sulla possibilità di riavere un lavoro, di ripartire da dove si è lasciato. La sensazione di precarietà ancor prima che l’oggettiva condizione, rappresenta il discrimine tra la marginalità e l’emancipazione. Il peggior danno della pandemia è proprio questo, ossia l’alone di indefinitezza che ha pervaso ogni attività e ogni persona creando la sensazione di essere in balia di un virus. Lo sforzo maggiore nel dare supporto alle persone in maggiore difficoltà, in questo momento, è quello di provare a costruire un orizzonte comune a cui fare riferimento sia per offrire opportunità sia per costruirne insieme.
Perché il progetto Dott. Binario di Roma, che prevede tamponi gratuiti per le persone senza fissa dimora, può essere considerato un esempio di eccellenza?
Il progetto Dottor Binario, che ha luogo nei locali dell’Help Center di Roma Termini in via di Porta San Lorenzo 5, ha avuto e continua ad avere un ruolo molto importante nella direzione di favorire l’accesso alla cura e alla promozione della salute per fasce di popolazione in marginalità.
Diverse le collaborazioni e i partenariati attivati con presidi ospedalieri e centri di ricerca, con l’obiettivo di contribuire a ridurre le diseguaglianze esistenti che determinano, specie nei momenti di maggiore criticità come quella pandemica, una oggettiva difficoltà di accedere al sistema sanitario nazionale che di fatto preclude l’esigibilità del diritto alla salute.
In questa direzione è stato ideato lo studio osservazionale realizzato con l’istituto San Gallicano (IRCSS) per l’analisi della presenza del SARS-COV-2 nei servizi di supporto e accoglienza per persone senza dimora di Roma Capitale. Realizzato in partenariato con Binario 95, Dottor Binario ha offerto in una prima fase (giugno- luglio 2020), la possibilità alle persone senza dimora beneficiarie dei servizi e agli operatori sociali in essi impiegati, di effettuare gratuitamente uno screening tramite un prelievo venoso e l’analisi della saliva, per determinare la presenza di anticorpi al SARS-COV-2 funzionali ad indirizzare e accompagnare i beneficiari alla realizzazione di un tampone nasofaringeo, in caso di esito positivo. Dal mese di ottobre è invece partito ed è tuttora in corso, uno screening a tappeto mediante test antigenici e tamponi nasofaringei che ha visto la partecipazione di persone senza dimora, operatori sociali e volontari. Ad oggi sono stati realizzati 253 sierologici e 975 tamponi.
Questa analisi ha avuto una grande valenza sia sul fronte della sorveglianza sanitaria dei centri di accoglienza territoriali, sia sul fronte dell’accoglibilità delle persone che vivono in strada grazie alla possibilità di certificare i “requisiti sanitari” necessari per essere ospitate o riaccolte nei centri istituzionali, riducendo la permanenza in strada e quindi i rischi di diffusione del virus.
Lo studio, realizzato in partenariato con L’Università degli Studi di Milano, la McMaster University del Canada e l’Università di Trento, ha avuto il nulla osta tecnico scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma oltre al supporto della Regione Lazio e di Roma Capitale. Considerato il valore scientifico e sociale del Progetto nella sua sperimentazione sul territorio romano, oltre ad una estensione di ambito regionale, l’obiettivo è al momento di promuoverne l’implementazione a livello nazionale attraverso il coinvolgimento dei centri attivi nella rete ONDS.