Giovani e famiglie alla mensa. Così la classe media scopre la povertà


Pubblicato il 20.07.2012 in News Sociale

 

REPORTAGE: alle associazioni di beneficenza non si rivolgono più solo senza tetto o immigrati irregolari, ma disoccupati di lunga durata (il 50% nel paese) e quella che fu la classe emergente negli anni del boom.

 

Nei giorni delle proteste in decine di città del paese contro le misure di austerità del governo Rajoy, si conclude il nostro viaggio attraverso la crisi dell’economia spagnola. Iniziato dal taglio all’assistenza sanitaria agli immigrati irregolari e dalla ripresa dell’immigrazione dei giovani iberici verso il Sud America, ha toccato per due volte le conseguenze del boom immobiliare, con la resistenza agli sfratti e con il caso della truffa dei mutui agli immigrati ecuadoriani. In questo ultimo réportage, l’aumento enorme di persone – con tanti “volti nuovi” – in fila alle mense delle associazioni per ottenere cibo e beni di sussistenza.

 

MADRID – Ricardo aveva un lavoro, una casa, una moglie. Faceva le sue otto ore in cantiere e “mai nei fine settimana”, perché quello che guadagnava gli bastava. Poi nel 2009 l’impresa di costruzioni dove lavorava lo licenziò e la sua vita cominciò una inversione a U che lo ha portato fino alle porte di una mensa sociale nel quartiere madrileno di Tetuán. “Mai avrei immaginato di ritrovarmi a vivere così”, dice mentre racconta la sua storia. Quella di una classe media che, nella Spagna dei 5,6 milioni di disoccupati, scopre la povertà. Il numero delle famiglie in cui tutti i suoi membri sono disoccupati è passato dai 413.000 del 2007 agli 1,7 milioni del primo trimestre del 2012. E la percentuale di chi vive sotto la soglia di povertà, già alta nel 2009 (19,7%), è aumentata di oltre 2 punti, fino al 21,8%.

Colpiti più duramente. La mensa sociale dove viene tutti i giorni Ricardo, una delle tredici presenti in tutta Madrid, è gestita dall’Ordine di Malta. “Quando l’abbiamo aperta, quattro anni fa, distribuivamo in media 70 pasti al giorno. Oggi arriviamo anche a 400”, spiega Guillermo, uno dei volontari che a turno lavorano nel centro. Il menù cambia in base alla disponibilità di risorse: alle volte ricevono cibi già preparati da ristoranti o altre volte “ci si arrangia con quello che c’è”, dice un altro volontario. Ci sono molti immigrati, sudamericani, marocchini, dell’Europa dell’Est ma anche e sempre più spesso spagnoli. La responsabile dice che il profilo delle persone è molto cambiato, che “all'inizio arrivavano solo senza tetto e ora vengono famiglie con bambini...”.

“Quello che è successo durante il periodo in cui l’economia cresceva è che i rischi che stavano dietro al boom si sono accumulati nella fascia della classe media”, commenta Francisco Lorenzo, responsabile del Servizio di Studi di Caritas Spagna. “Quando è arrivato il cambio di ciclo economico la classe media è cominciata a apparire nella fotografia della povertà. Ci sono anche persone prima benestanti che si sono ritrovate in poco tempo in grandi difficoltà. Però, se nella classe medio-alta si tratta di casi significativi ma circoscritti, è nella classe media che la crisi ha colpito più duramente”. Ed è anche la classe media la fascia di popolazione che più sentirà i tagli annunciati il 12 luglio dal governo conservatore di Mariano Rajoy, la più grande manovra della Spagna dalla fine della dittatura, con congelamento delle tredicesime ai funzionari pubblici, l’aumento di 3 punti dell’IVA e la riduzione dei sussidi di disoccupazione, tra le altre misure approvate.

Disoccupati di lunga durata. “Non ricordo nemmeno più quanto guadagnavo. Non arrivavo a 2.000 euro...”, ricorda Ricardo che ora, a 51 anni, è un disoccupato di lunga durata che ha già ricevuto tutte le prestazioni sociali previste dallo stato. “Le cose vanno male e andranno anche peggio. Non ci sono soldi, non ci sono soldi”, ripete e accompagna la frase con la mano... Separato, vive in una stanza in affitto che costa 200 euro e che gli paga un parente perché, dopo aver finito di ricevere il sussidio di disoccupazione, i lavori sporadici che trova non gli bastano nemmeno per quello. “Molti si vergognano, ma io no. E vengo a mangiare qui perché siamo in una grande città, e nessuno mi conosce. Se fossi al mio paese, nel nord, sarebbe diverso…”. Dopo aver cenato alla mensa dei volontari dell’Ordine di Malta, Ricardo aspetta ancora un po’ per finire di caricare il telefonino che ha attaccato a una delle prese della sala. Ma di chiamate per offerte di lavoro non ne arrivano e nei Centri per l’impiego sono finiti i soldi per i corsi di formazione. “Vado e mi dicono che non possono nemmeno pagare i professori…”, dice. Come lui, il 50% delle persone senza un lavoro in Spagna è formato da “disoccupati di lunga durata”, persone in cerca lavoro da più d’un anno. Nel 2007 la percentuale era del 27%.

Sempre più giovani. Del milione di persone che si sono rivolte a Caritas nell’ultimo anno, un terzo lo ha fatto “per la prima volta”. E nell’elenco di “nuovi poveri” ci sono famiglie con figli, persone sole e famiglie monoparentali. E molti giovani. “È un fenomeno relativamente nuovo. Si tratta di giovani che hanno lasciato gli studi per accettare un lavoro precario che, con l’arrivo della crisi, si è distrutto rapidamente. È un profilo di giovani con poca specializzazione, o giovani coppie con figli…”, spiega Francisco Lorenzo. E mentre cresce il numero di persone assistite, aumenta anche la preoccupazione delle associazioni per la mancanza di risorse. “Alle persone che arrivano da noi sempre si dà ascolto, sempre si cerca di dare assistenza. Ma ci sono situazioni a cui non si riesce a far fronte e questo crea frustrazione e sofferenza in chi è venuto a cercare aiuto e in chi lo da”, dice Lorenzo. Cambia anche il tipo di aiuto che si riesce a dare. “Caritas è abituata a avviare un proceso di accompagnamento di lungo periodo per far sì che le persone riescano a trovare una via d’uscita dalla situazione in cui trovano. Ma quando la fila che hai davanti alla porta si allarga, non puoi concentrarti su un processo di lunga durata…”.

Competizione tra poveri. Un altro dei problemi è la “percezione sociale”. Non solo quella di chi, in una società che premia il successo e l’autosufficienza, si trova a bussare alla porta delle organizzazioni di solidarietà, ma anche la “percezione” delle persone che si trovano nella stessa situazione. Lorenzo lo spiega cosí: “La gente ha ora la sensazione di competere con gli altri per l’accesso all’assistenza, e attribuisce la responsabilità della situazione in cui si trova a persone che sono in realtà altre vittime. E si sente dire: ‘ovvio siccome ci sono gli immigrati a me non potete assistermi’…”. Una situazione che, secondo l’esperto di Caritas, “se non viene affrontata rischia di creare problema di convivenza sociale”. Alcuni segnali cominciano ad apparire. Nella mensa di Tetuán dove va Ricardo, appeso a una delle pareti c’è un poster con le regole da rispettare: non arrivare ubriachi, non causare disordini… e poi una avvertenza: “Non ci sono menú speciali, si distibuisce quello che c’è senza discriminazioni…”. A flanco, scritto a penna, un commento: “Vediamo se è vero. Uno spagnolo”. Ricardo, quando glielo si fa notare, risponde: “Ah, si. Ci sono stati litigi tra la gente che veniva.. musulmani, cristiani…”. Problemi di convivenza in quella che rischia di diventare una competizione tra poveri. 


Autore: Mariangela Paone