L’allarme lanciato dall’ente di assistenza della diocesi: «Le richieste sono aumentate del 67 per cento e quattro colloqui su dieci riguardano cittadini che non ce la fanno più a pagare il mutuo perché sono rimasti senza lavoro»
TORINO - Il lavoro perduto, una cassa integrazione troppo lunga, il divorzio, le rate del mutuo che diventano un incubo. Quanto impiegano un uomo o una donna del ceto medio a finire in mezzo a una strada? Quanti mesi bastano a una famiglia normale per scoprirsi improvvisamente fra i nuovi poveri? È sufficiente che dopo la boa dell’impiego si sgonfi anche il salvagente dei «nonni» - che in Italia rappresentano un autentico ammortizzatore sociale - ed ecco che il tempo medio per ritrovarsi clochard si è ridotto di un quinto. «La vera tragedia - spiega Pierluigi Dovis, direttore della Caritas diocesana - è che nella condizione di nuova indigenza ormai si cade nel giro di un anno. Una volta ce ne volevano almeno cinque. Oggi è tutto più veloce, più implacabile».
I brutti numeri di questa sconfitta sono sul suo tavolo come su quello dell’assessore al Welfare Elide Tisi. C’è più gente che bussa al centro d’ascolto diocesano di corso Mortara e più gente che occupa rapidamente i 167 posti offerti dai dormitori comunali. Un fenomeno in crescita, ma soprattutto in metamorfosi. «La nostra sensazione è che ci sia una domanda più alta di assistenza notturna - spiega Tisi - ma quel che colpisce di più è che ci puoi trovare anche una anziana signora con la pelliccia, certamente ereditata da una vita precedente, in cui la povertà era un problema a dir poco remoto».
Anche Pierluigi Dovis racconta di un fenomeno in crescita che colpisce quell’ex ceto medio finito sotto la tagliola della crisi: «Gli appuntamenti al nostro centro di ascolto sono cresciuti del 67 per cento, e il 40 per cento di questi contatti viene richiesto appunto da soggetti nuovi, i cosiddetti nuovi poveri. Se viene a mancare l’unico stipendio che c’era e per disgrazia si ha un mutuo da pagare e i figli da mantenere, la famiglia si sfalda».
La differenza rispetto agli anni precedenti è che oggi cominciano a vedersi i frutti negativi di una cassa integrazione troppo lunga, dalla quale le persone non sono riuscite a riprendersi. Magari per un po’ di tempo avevano chiesto e ottenuto speciali dilazioni convincendo i creditori e la banca a concedere loro un po’ di fiato. Speravano di risollevarsi. Ma puntualmente non è andata così. Ed è andata ancor peggio a chi nel 2011 ha dovuto chiudere la propria impresa e licenziare il personale.
Che cosa chiedono i nuovi poveri ai professionisti della solidarietà? «Per prima cosa, ed è naturale, chiedono un lavoro - spiega ancora il direttore della Caritas diocesana -, poi vengono nell'ordine un aiuto per il cibo, le rate per il mutuo e la salute. Rinunciare a curarsi, e andare per esempio dal dentista, è una delle prime voci che vengono tagliate».
Chi ha una rete famigliare su cui contare, è ovvio, resiste più a lungo. Gli anziani diventano un buon succedaneo del welfare locale: sostituiscono la baby sitter e mantengono i figli con la loro pensione». Sono le persone sole, invece, magari madri o padri di famiglia con figli a carico ancora minorenni, a cui va peggio. Oppure uomini a un passo dalla pensione che vengono licenziati. E che dire dei pignoramenti? Torino risulta la città peggiore d’Italia, con un aumento del 55% negli ultimi sei mesi del 2011. Si tratta di famiglie che non riescono più a pagare la rata del mutuo, persone stremate dalla cassa o rovinate dalla perdita del posto di lavoro. Il problema coinvolge tutto il Nord Italia (nel Paese la media è +31,8%) e secondo l’associazione di consumatori è dovuto alla «forte crisi economica, con i mutui che si mangiano un terzo del reddito portando 350 mila famiglie al rischio di insolvenza. E la povertà grigia avanza. Se nel 2010 era un fenomeno che toccava il 7 per cento della popolazione oggi vivono in bilico sulla soglia di povertà il 14 per cento dei torinesi. Il 90 per cento di queste situazioni deriva dalla perdita del lavoro. L’effetto domino, visto che un cittadino su tre quando resta disoccupato deve pure pensare al mutuo da pagare, è devastante.