In pillole i dati salienti della diciottesima edizione del rapporto di Caritas e Migrantes. Dall'incidenza demografica alla criminalità, dalla burocrazia ai flussi difficili.
ROMA – Il Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2008, 18ma edizione, presentato oggi a Roma e in tutte le regioni italiane è diventato negli anni un punto di riferimento obbligato per tutti coloro che si occupano della tematica. Per certi versi è ormai una fonte prioritaria, anche se nel passato sono state sollevate questioni a proposito delle cifre. Nel Dossier di quest’anno la questione cifre viene affrontata direttamente, spiegando anche i criteri adottati e contribuendo quindi a svelare il mistero delle cifre dissonanti rispetto a quelle ufficiali dell’Istat e del ministero dell’Interno.
Le cifre
La consistenza degli immigrati regolari in Italia si aggira tra i 3,5 milioni di residenti accertati dall’Istat e i 4 milioni ipotizzati dal Dossier, spiega Franco Pittau. “Noi includiamo nel conteggio anche le presenze regolari che, a causa delle procedure molto lunghe, ancora non sono registrate in anagrafe: è come se anticipassimo di un anno l’inserimento dei nuovi venuti presso i rispettivi Comuni”. Sia per l’Istat che per il Dossier la popolazione immigrata è aumentata di diverse centinaia di migliaia. In Italia risultano presenti 3.987.000 persone che sono regolarmente registrate. La cifra non comprende quindi tutta la fascia dell’immigrazione irregolare ed è comunque superiore a quella registrata ufficialmente nelle statistiche dell’Istat che parlano di 3.432.651 immigrati regolari. Si tratta quindi di una differenza rilevante di circa il 16%.
La presenza nel territorio
Gli immigrati sono 1 ogni 15 residenti in Italia e 1 ogni 15 studenti a scuola, ma quasi 1 ogni 10 lavoratori occupati; inoltre, in un decimo dei matrimoni celebrati in Italia è coinvolto un partner straniero, così come un decimo delle nuove nascite va attribuito a entrambi i genitori stranieri. La maggior parte vive nel nord Italia. La Lombardia è ancora la prima regione in quanto a presenza. Il Lazio ha una numero di immigrati pari a quello di tutte le regioni meridionali.
I romeni i più numerosi
La comunità romena, raddoppiata nel giro di soli due anni, conta 625mila residenti e, secondo le stime del Dossier quasi 1 milione di presenze regolari. Al secondo posto gli albanesi con 402 mila presenze e subito dopo i marocchini a quota 366 mila. Mentre un poco al di sopra e un poco al di sotto delle 150mila unità si collocano, rispettivamente, le collettività cinese e ucraina. In termini percentuali gli europei rappresentano il 52% del totale degli stranieri residenti in Italia, gli africani il 23,2%, gli asiatici il 16,1% e gli americani l’8,6%. Secondo le stime del Dossier la regione con il maggior numero di stranieri regolari è la Lombardia (953.600 presenze pari al 23.9% del totale), seguita dal Lazio (480.700 pari al 12,1% del totale) e dal Veneto (473.800 pari all’11,9% del totale).
Il lavoro e il sindacato
In Italia lavorano circa un milione e mezzo di immigrati, che rappresentano il 10% degli occupati in diversi comparti. Come è successo in tutta la storia dell’immigrazione italiana (fenomeno recente, ma ormai consolidato), la maggior parte degli immigrati occupati si concentra al nord. A Brescia, si legge nel Dossier Caritas/Migrantes, è nato all’estero un lavoratore su cinque occupati. A Mantova, Lodi e Bergamo uno su sei. A Milano, uno su sette. In tutta la Lombardia quasi la metà dei nuovi assunti (45,6%) è nata all’estero. Nel Veneto, all’inizio del 2000, c’erano nelle aziende di diversi comparti industriali circa 20 mila immigrati. Ora sono diventati 40 mila.
Un segnale della trasformazione radicale del mondo del lavoro che sta avvenendo in questo periodo riguarda le iscrizioni al sindacato. Il tasso di iscrizione è molto alto e in numero assoluto i tesserati immigrati hanno ampiamente superato la cifra di 800 mila lavoratori. E siccome una fascia di consistente di iscritti ai sindacati italiana è attualmente pensionata, il grado di adesione degli immigrati al sindacato risulta ancora più alto se si misura solo sui lavoratori attivi. Mentre infatti la percentuale di iscritti al sindacato sul totale dei lavoratori è del 5%, la percentuale sul totale degli iscritti tra i lavoratori attivi raggiunge ormai il 12%.
La cittadinanza e l’incidenza demografica
Come spiega Franco Pittau, la consistenza dei numeri sulla presenza di immigrati regolari è rafforzata dal dinamismo della loro crescita. Le acquisizioni di cittadinanza sfiorano le 40 mila unità; le nuove nascite sono 64 mila; gli studenti aumentano al ritmo di 70 mila l’anno; i minori tra nuovi nati e venuti dall’estero sono più di 100 mila; le nuove assunzioni “ufficiali” sono più di 200 mila l’anno; l’aumento minimale della popolazione si aggira sulle 350 mila unità. Tra il 2000 e oggi il raddoppio è generalizzato. Per avere un’idea più pregnante di quanto stia avvenendo dobbiamo ritornare all’immediato dopoguerra, quando eravamo noi a prendere le vie dell’esodo, 300 mila l’anno e qualche volta anche di più.
Ipotizzando 250 mila nuovi ingressi l’anno, nel 2050 la popolazione attiva in Italia scenderà da 39 a 31 milioni, mentre gli ultrasessantacinquenni, attualmente 12 milioni, diventeranno 22 milioni. Sempre nel 2050 la presenza degli immigrati risulterà più che triplicata, con 12,4 milioni di persone e un’incidenza del 18%: senza di loro il nostro accentuato processo di invecchiamento pregiudicherebbe seriamente le capacità produttive del paese.
La ricchezza prodotta e la spesa sociale
Secondo una stima di Unioncamere, gli immigrati concorrono per il 9% alla creazione del Pil, tre punti in più rispetto all’incidenza sulla popolazione, maggiorazione ben comprensibile alla luce del loro più alto tasso di attività. Gli immigrati hanno un costo in termini di servizi e assistenza. I Comuni italiani spendono specificamente per gli immigrati il 2,4% della loro spesa sociale (nel 2005, ultimo dato disponibile, 137 milioni di euro). Tenendo conto che gli immigrati sono fruitori anche di servizi a carattere generale, si può stimare che attualmente per loro si possa arrivare a una spesa sociale di un miliardo di euro, ampiamente coperti dai 3,7 miliardi di euro che, secondo una stima del Dossier, essi assicurano come gettito fiscale.
La criminalità
Il Dossier 2008 mette a confronto fonti diverse. L’analisi congiunta delle statistiche giudiziarie e penitenziarie relative agli anni Duemila porta a queste conclusioni: gli immigrati regolari, quelli della porta accanto per così dire, hanno all’incirca lo stesso tasso di devianza degli italiani; prevalgono le collettività di immigrati solo marginalmente toccate dalle statistiche criminali; gli addebiti giudiziari sono più ricorrenti per gli immigrati che si trovano in situazione irregolare, senza peraltro che debbano essere trasformati per principio in delinquenti; la maggiore preoccupazione va riferita alle “mele marce” delle diverse collettività immigrate e alla criminalità straniera organizzata, che sta prendendo piede anche in collaborazione con le organizzazioni malavitose locali.
I flussi annuali e il sommerso
Tra il 2005 e il 2007 sono state presentate circa 1 milione e 500 mila domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte delle aziende e delle famiglie italiane: 251 mila nel 2005, 520 mila nel 2006 e 741 mila nel 2007, con una incidenza sulla popolazione straniera già residente rispettivamente del 10%, del 20% e del 25% (ma addirittura del 33% rispetto ai lavoratori stranieri già occupati). I flussi registrati nell’ultimo decennio sono tra i più alti nella storia d ’Italia – rileva il Dossier. Poiché nel 2007 la quota iniziale di 170 mila ingressi non è stata integrata – e tenendo conto delle domande presentate - è possibile ipotizzare la presenza di almeno mezzo milione di persone già insediate in Italia e inserite nel mercato del lavoro nero (e a volte sprovviste di permesso di soggiorno). Il che solleva dalla necessità di una più efficace gestione del mercato occupazionale. Per questo Caritas/Migrantes chiedono interventi più organici. E infatti – si legge nel Dossier – non potranno essere i Centri di identificazione e di espulsione e gli interventi repressivi a regolare il fenomeno.
E’ necessario rendere più flessibile il ricorso alle quote, anziché chiudere pregiudizialmente l’afflusso di immigrati in Italia. Così la pensano i responsabili del Dossier. Invece di irrigidirsi su tetti di entrata e di regolarizzazione decisi a tavolino, sarebbe molto più proficuo ragionare in modo elastico sulle quote, anche in base alle esigenze delle imprese e del sistema economico in generale.
La burocrazia
Il numero degli immigrati e il ritmo della loro crescita impongono che le procedure burocratiche per il soggiorno siano più agibili. Attualmente i termini di legge costituiscono un “diritto di carta” che non viene rispettato è di grave pregiudizio nell’educazione alla legalità e nel perseguimento di una strategia concreta di accoglienza. L’acquisizione dei documenti necessari per il disbrigo delle pratiche è diventata una sorta di corsa a ostacoli, costosa in termini di tempo e di soldi. Pensiamo ai visti ai permessi di soggiorno, ai ricongiungimenti familiari, alle pratiche per la cittadinanza. Le procedure per l’inserimento nel mondo del lavoro erano già problematiche al momento della loro introduzione nel 1986 e lo sono diventate ancor di più a partire dal 2002, quando sono state rese più rigorose, anche perché nel frattempo è aumentato notevolmente il numero degli immigrati di cui gestire il collocamento. È lo stesso decreto annuale sui flussi a registrare le sacche di regolarità che si formano.
Imprenditori
L’85% delle aziende con titolari immigrati è stato costituito dal 2000 in poi. La collettività straniera che vanta tra le sue fila il maggior numero di imprenditori è quella marocchina, con 20 mila figure di questo tipo. Subito dopo arriva quella romena, tuttora in forte crescita, seguita dalla comunità cinese. Anche gli imprenditori albanesi non sono pochi con le loro 17 mila presenze. Il grosso dell’iniziativa degli immigrati che decidono di mettersi in proprio si concentra tra l’edilizia e il commercio: per entrambi i settori risultano 4 imprese su 10.
Redattore Sociale