Dopo l'indulto detenuti sotto quota 40 mila. Manconi: ''Il sistema ha tenuto''


Pubblicato il 14.09.2006 in News Sociale

Sono ormai più di 21 mila le persone uscite dalle carceri italiane in base al provvedimento di indulto approvato in estate dal governo di centrosinistra. Si tratta però di una cifra non definitiva perché in base alla legge sulla custodia cautelare stanno crescendo le domande di applicazione dell’indulto stesso. Alla cifra indicata va inoltre aggiunta una quota (ancora non precisata, anche se pochi giorni fa si è parlato di oltre 5 mila persone) di beneficiari che non erano in carcere in quanto godevano di misure alternative alla detenzione.

Nel frattempo si stanno mettendo a punto i progetti per il reinserimento dei detenuti, anche se non è ancora chiaro il tipo di utilizzazione dei fondi stanziati proprio per il reinserimento. Si tratta – fino a questo momento – di circa 17 milioni di euro a cui vanno aggiunti poi gli stanziamenti dei singoli enti locali, Regioni e Comuni. Ma che cosa succede quando un detenuto riacquista la sua libertà? Come funzionano – se funzionano davvero come si era pensato – i progetti di reinserimento? E su quali linee si sta muovendo, più in generale, il governo Prodi a proposito di carceri e giustizia. Sono le domande che abbiamo girato a Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia, con il quale abbiamo discusso anche della legge Bossi-Fini, della ex Cirielli e della legge Fini-Giovanardi sulle droghe.

Sottosegretario, ci può dare dei dati aggiornati sugli effetti del provvedimento di indulto?

Abbiamo recentemente superato i 21 mila beneficiari. Nel primo mese di applicazione della norma eravamo arrivati a superare le 20 mila unità. Poi il numero è cresciuto ulteriormente perché oltre ai criteri insiti nel provvedimento che abbiamo varato si sono unite anche le richieste di indulto proposte dai magistrati. Come è noto, infatti, l’indulto non è automatico, ma scatta in base all’intervento del magistrato. In molti casi si sta verificando il fatto che il magistrato, in base alla legge della custodia cautelare (che prevede appunto l’applicazione dell’indulto) chiede l’applicazione del provvedimento. Siamo quindi in presenza di beneficiari dell’indulto che però erano precedentemente in uno stato di custodia cautelare e non di detenzione vera e propria.

Questi numeri sembra siano la dimostrazione concreta che il vero obiettivo del provvedimento di indulto era quello di svuotare le carceri italiane sovraffollate. È così?

Io personalmente non ho mai utilizzato, né utilizzo ora, l’argomento umanitario per motivare la scelta dell’indulto. Ovviamente si tratta di un tema fondamentale, importantissimo, direi cruciale. Un argomento che sta nella coscienza di tutti noi. Ma non è il primo argomento in ordine di importanza perché a proposito del sovraffollamento ci sono anche altre e più importanti motivazioni. Io penso cioè che il sovraffollamento sia prima di tutto l’ostacolo principale alla realizzazione di qualsiasi tipo di politica. Nessuna politica seria sulla giustizia è possibile in presenza di sovraffollamento delle carceri. E i motivi sono evidenti, non vanno neanche spiegati. Basti pensare alle condizioni di vero e proprio degrado e promiscuità che si creano quando un detenuto è costretto a fare i suoi bisogni davanti ai compagni di cella. Questa situazione ha effetti devastanti sui detenuti, effetti che poi si riverberano su tutto il resto delle politiche, a partire dall’assistenza sanitaria. Il sovraffollamento ha poi effetti catastrofici sui lavoratori, ovvero gli agenti penitenziari. E non è stato certo un caso se tutti i sindacati degli agenti penitenziari si siano schierati a favore dell’indulto.

A proposito di indulto, abbiamo un doppio modo di vedere la questione: dal punto di vista delle carceri e dal punto di vista di chi ne esce. Che cosa succede dopo? Quali sono i progetti e i fondi per il reinserimento dei detenuti?

Centralmente sono stati stanziati dal governo circa 17 milioni di euro. In particolare 11 milioni sono arrivati dal Ministero del Lavoro, 3 milioni dal Ministero della Salute e 3 dalla Cassa Ammende che poi fa capo alla Giustizia. Ma non ci sono solo questi soldi. Ci sono infatti anche gli stanziamenti che provengono direttamente dai vari enti locali. Solo qualche esempio: 500 mila euro dal Lazio, un milione dalla Sardegna, 200 mila euro dall’Umbria e così via. Più i soldi che vengono stanziati a favore dei progetti di reinserimento dalle amministrazioni comunali. Questo, più o meno per quanto riguarda i fondi. Per quanto riguarda invece l’efficacia del provvedimento e i suoi veri effetti sociali è ancora presto per trarre delle conclusioni. Io sono sempre stato molto prudente perché è chiaro che l’indulto non risolve tutti i problemi. Il nostro primo impegno politico oggi è comunque quello di non rendere vano il provvedimento. Sto parlando del rischio sempre presente che si riproducano i meccanismi che portano all’affollamento delle carceri. Si tratta quindi di ridurre questo rischio, riducendo al minimo la riproduzione dei crimini. Per questo si devono mettere in atto vari interventi. Il primo riguarda come è ovvio l’accoglienza del detenuto che esce di prigione. Il tema dell’accoglienza, poi, vale sempre, anche senza l’indulto. Nella fase di accoglienza si devono risolvere le questioni primarie che vanno dall’alloggio alla salute dell’ex detenuto. Da questo punto di vista penso che il primo bilancio sia davvero positivo. Il nostro sistema ha retto molto bene nel suo complesso e come abbiamo visto non si sono manifestate emergenze. In nessuna città e da parte di nessun prefetto. Sono state molto efficienti le amministrazioni comunali. Dopo la fase di prima accoglienza, scatta però un’altra fase più complessa che riguarda il reinserimento sociale vero e proprio del detenuto. Penso quindi ai corsi e a tutte le questioni attinenti all’inserimento nel mercato del lavoro, cosa che come sappiamo bene è molto complessa anche nella normalità dei casi, figuriamoci nel caso di detenuti indultati. Questo è sicuramente il punto più difficile.

Oltre ai problemi legati in modo diretto o indiretto all’indulto, ci può dire come intende muoversi il governo sui temi più generali della giustizia riguardo il carcere?

In questo campo, come d’altra parte anche in altri, dobbiamo avere il coraggio di mettere in atto le riforme che abbiamo promesso con il programma elettorale dell’Unione. Ci sono in particolare tre leggi che andranno superate, abrogate, cancellate (c’è solo da mettersi d’accordo sui termini). La prima è la cosiddetta ex Cirielli. Si tratta di una legge che non solo è stata molto contestata e criticata, ma che soprattutto, nelle norme sulla recidiva, si prospetta come una norma liberticida. L’altra legge di cui ci dobbiamo occupare è la Bossi-Fini. Con questa legge, solo nel corso del 2005, almeno 11 mila stranieri sono entrati nelle carceri italiane non perché avevano commesso reati, ma solo perché accusati di illeciti amministrativi legati alle norme di ingresso e soggiorno. E’ scandaloso, iniquo e irrazionale tutto questo. Come è assurdo, iniquo e irrazionale – e mi riferisco alla legge Fini-Giovanardi sulle droghe – il fatto che centinaia di persone sono state trattenute in carcere mediamente per 15 giorni perché fermate dalle forze dell’ordine con sostanze stupefacenti, con dosi lievemente sopra le quote consentite dalla legge. Sono anche queste le norme assurde che poi creano l’affollamento nelle carceri, oltre a fare danni rilevanti sulle persone.

 

Redattore Sociale


Autore: Paolo Andruccioli