Don Ciotti e Bindi a confronto sulle migrazioni


Pubblicato il 15.06.2012 in News Sociale

 

In vista della Giornata mondiale dei rifugiati il prossimo 20 giugno il Centro Astalli ha promosso l'incontro sul tema "In città invisibili" tra il presidente di Libera e il vicepresidente della Camera

 

«Il mondo che viviamo non ci piace». In vista della Giornata mondiale dei rifugiati 2012, che si celebrerà il prossimo 20 giugno, Padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli, l’agenzia dei Gesuiti impegnata appunto sul fronte dell’accoglienza e assistenza di coloro che per ragioni diverse sfuggono alla morte cercando riparo in Italia, ricorda che questi ultimi sono lì ad ammonirci «che c'è una parte di umanità, troppa, che soffre». E «se ci sono ancora persone obbligate a lasciare il Paese d’origine, gli affetti, una lingua e una cultura, in altre parole se si vedono costrette ad azzerare la propria vita, noi diciamo che questo mondo allora non ci piace». E i dati, purtroppo, non sono incoraggianti: solo in Italia, dopo la stagione dei respingimenti, gli arrivi via mare sono ripresi. «Il numero delle domande - spiegano dal Centro Astalli - è aumentato, pur rimanendo molto più basso dalle previsioni allarmistiche di chi parlava di “tsunami umano”. Delle 25.625 richieste esaminate nel 2011, l’8% ha ottenuto lo status di rifugiato, mentre ben il 44% non ha ricevuto alcun tipo di protezione».

Uomini e donne che, di fatto si muovono nei centri urbani come fantasmi, ignorati dai più, senza poter avere accesso ai servizi. Una condizione che in Italia è complicata, denunciano i gesuiti, «dall’insufficienza e dalla frammentarietà dei sistemi di accoglienza che, privi di regia unitaria e di standard uniformi, finiscono per mostrare le lacune più gravi proprio nei luoghi dove i rifugiati si concentrano». Ed è su questo tema ("In città, invisibili") che lo scorso 14 giugno, a Roma, si sono confrontati in un dibattito pubblico il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, e Rosy Bindi, vicepresidente della Camera dei Deputati. A moderare il dibattito, Marino Sinibaldi, direttore di Radio 3 che ha avviato la discussione citando un brano del cardinale Carlo Maria Martini, gesuita e biblista, che sulla capacità o meno di una città di essere accogliente molto ha scritto. 

«Il cammino umano - spiega il già arcivescovo di Milano nel suo saggio “Verso Gerusalemme” - non è descritto nella Bibbia come un cammino verso un “paradiso”», nel senso originario di “giardino delle delizie” ma piuttosto la meta è la città, quella descritta nell'Apocalisse, che «ha in sé il meglio del paradiso originario» e tuttavia è pur sempre una città, cioè «un luogo dove gli uomini vivono in un intreccio di relazioni molteplici e costruttive». E “per superare le maledizioni e fatiche della città e per leggere dentro di essa la presenza di non poche benedizioni», conclude il porporato, «non occorre necessariamente avere davanti agli occhi una città ideale, ma almeno un ideale di città».

Il nodo della questione è allora qui: sono in grado le nostre città di accogliere tante tragedie? Gli strumenti normativi ci sono? E se si, funzionano? Rosy Bindi ammette il fallimento della politica: «Le associazioni, come il Centro Astalli, le ong o gli enti locali sono i soli che si prendono cura di situazioni così tragiche. In assenza di una legge sono loro a farsene carico ma pur essendo molto attive sono poche e, soprattutto, non fanno rete, mentre il loro sapere dovrebbe diventare patrimonio comune». Figlio di emigranti bellunesi, don Luigi Ciotti - uno che la condizione di povertà e di esclusione se l’è portata a lungo dentro e, forse, è stata anche la ragione del suo porsi accanto agli ultimi - insiste sull'importanza della cultura e della legalità, «due elementi che ci consegnano lo stato di salute di una democrazia». «I rifugiati che rimangono invisibili all’opinione pubblica - conclude il sacerdote -, purtroppo sono molto ben visibili alla criminalità organizzata. Spesso sono proprio i migranti le prime e più facili prede di chi ha sempre bisogno di manodopera per incrementare i propri affari illeciti: dalla droga alla prostituzione, al lavoro nero. Togliere i rifugiati dall’invisibilità vuol dire infliggere un duro colpo alla criminalità nel nostro Paese».

 


Autore: Mariaelena Finessi
Fonte: Roma Sette

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