Dai binari di una stazione: quando la strada non è una scelta


Pubblicato il 25.01.2011 in Rete Onds

Da due anni in Italia, nella sua valigia ha un ottimo italiano ed una laurea in fisica e matematica. Abdul, 32 anni appena compiuti, è venuto dal Senegal per coronare il suo sogno di diventare ricercatore. Arrivato a Roma, ha vissuto per circa un anno in strada, dormendo in autobus, piazze e stazioni. Oggi ha trovato un alloggio e sta raccontando in un libro la sua esperienza. Una nuova storia dalla strada, fatta di speranza e di fiducia nel futuro.

 

Abdul, che cosa ti ha portato nel nostro Paese?

Sono arrivato nel 2007 con un normale volo di linea: direzione Treviso. Dopo aver studiato all'Università del Senegal ed essermi laureato in fisica e matematica ho deciso di partire dal mio Paese per riuscire a trovare un lavoro che corrispondesse alle mie esigenze. Il mio sogno è fare il ricercatore, ma in Africa, l'unica cosa che poteva offrirmi la mia laurea era l'insegnamento nelle scuole elementari.

Ho studiato a Dakar, la capitale del Senegal, perché mia mamma è orginaria di lì. Ho dieci fratelli, quattro maschi e sei femmine, e quando è morto mio padre, tutta la mia famiglia si è trasferita dal piccolo paese di provincia in città, nella casa di mia nonna. Lì ho terminato i miei studi: sinceramente non avevo mai pensato ad un trasferimento in Italia, amo molto il mio Paese, ma per inseguire i miei sogni avevo bisogno di muovermi da lì. Così, ho ottenuto un visto turistico per entrare in Italia.

 

Cosa hai fatto quando sei arrivato in Italia?

Sono andato direttamente a Treviso, dove conoscevo un ragazzo senegalese che fa l'operaio lì. Lì ho frequentato, per due anni, una scuola di italiano, facendo dei lavoretti saltuari. Non avevo un lavoro vero e proprio perché non avevo i documenti in regola: aiutavo le persone che ne avevano bisogno a fare dei lavoretti, ovviamente a nero.

Dopo due anni ho capito che questo non era il motivo per cui mi ero trasferito in Italia, quello che volevo era trovare un lavoro vero e soddisfacente.

Dal mio amico a Treviso non potevo più alloggiare, così ho deciso di trasferirmi nella capitale e sono venuto a Roma.

 

E quando sei arrivato nella capitale, che situazione hai trovato ad attenderti?

Qui ho notato che lo stile di vita è molto diverso da quello a cui ero abituato a vivere nel comune veneto. Roma è una metropoli molto caotica e la tranquillità che avevo in quel posto è andata man mano perdendosi. Dovevo darmi da fare: per il primo periodo di tempo, ho provato a fare il venditore, come fanno la maggior parte dei senegalesi che vivono in questa città. Ho provato a vendere borse e ombrelli, ma non ci riuscivo, non guadagnavo molto, come gli altri ragazzi. Mi capitava spesso di regalare le cose e di trovarmi con pochissimi euro in tasca.

Così, come può capitare ad un qualsiasi ragazzo della mia età, appena uscito dall'università e senza un lavoro, mi sono trovato a contatto con un mondo che non conoscevo, la strada.

 

Dove hai vissuto, appena arrivato a Roma?

Dormivo fuori perché, in città, non conoscevo nessuno. I primi giorni mi riposavo solamente: prendevo il primo autobus notturno e rimanevo lì fino all'ultima corsa della mattina.

Successivamente, ho dormito a Villa Borghese, poi a Piazza della Repubblica. Due notti ho dormito anche alla stazione Termini: l'esperienza è stata dura, io la strada non l'ho scelta.

Su questi marciapiedi ho conosciuto un ragazzo e, insieme, ci siamo trasferiti alla stazione Ostiense.

Per nove mesi ho dormito tra il binario 8 e 9 della stazione.

 

Come si svolgeva la tua giornata quando dormivi a Ostiense?

Alla stazione ci stavano tante persone che dormivano e, fortunatamente, lì non ti sfrattano. Bisogna solo abituarsi alla luce e ai rumori dei treni. Da lì iniziava la mia giornata in giro per Roma, alla ricerca dei servizi che offrono aiuto ai bisognosi e a fare il sudoku a piazza Venezia.

 

E ora dove vivi?

Solo qualche settimana fa ho trovato una sistemazione: grazie a Padre Claudio, dell'Acse, l'Associazione Comboniana Servizio Emigranti e Profughi, sono riuscito ad avere un tetto sulla testa. Faccio riferimento anche all'INMP, l'ospedale San Gallicano, per curare la mia salute, dopo aver vissuto un anno per strada. Sto aspettando i documenti per il permesso di soggiorno. La cosa che voglio con tutto il cuore è trovare un lavoro onesto.

 

Quali aneddoti ricordi, in particolar modo, della tua esperienza in strada?

La vita di strada non si sceglie, ti capita e basta. È solo una questione di destino e nel mio c'era anche questa esperienza. Reagisco sempre con il sorriso sulle labbra, sperando che ogni mattina porti qualche bella novità. Certo, c'erano degli ostacoli nella vita in strada: delinquenti che rubavano le cose, ma soprattutto, persone che cercavano di corrompere noi che dormivamo per strada. Molto spesso ci venivano fatte delle proposte sessuali in cambio di soldi. Loro sanno che tu hai bisogno, quindi vanno tra i binari a cercare, con qualche euro, di comprare queste cose.

Ma, a volte, la strada ti regala anche delle piacevoli soprese: Vicino al mio binario c'era una coppia di ragazzi, lui pakistano e lei italiana. Lei era incinta e la cosa che mi ha veramente colpito è stato un giorno in cui lui ha cucinato e mi ha offerto da mangiare. La solidarietà tra poveri mi faceva veramente piacere. Non guardava che io sono nero e vengo dal nulla.

 

So che stai scrivendo anche un libro, di cosa parla?

Sì, ho iniziato a scriverlo proprio mentre stavo per strada. Ho preso proprio il caso di un uomo che dorme per strada e che, per necessità, inizia a rubare per poter soddisfare i suoi bisogni. Un uomo abbandonato dalla società, la storia di una persona sola che non riesce ad uscire da una vita malandata.


Autore: Valentina Di Fato