La Redazione Catanese del mensile della Strada "Scarp de' Tenis" e della web tv TeleStrada, che da anni contribuisce a fornire un'informazione il più possibile corretta sui temi della vita di strada, ha denunciato, attraverso il caso di Andrea Verdura, senza dimora morto suicida a Catania, la situazione delle persone senza dimora affette da disturbi mentali. La stampa locale e nazionale ha prontamente risposto a questa sollecitazione con numerosi articoli pubblicati sulla carta stampata e servizi radio e tv
Segue l'articolo pubblicato dall'Agenzia Giornalistica di Redattore Sociale
Si è impiccato nel cantiere della metropolitana vicino alla stazione centrale dove viveva. Da tempo soffriva di disagio mentale. Fusari, psicologo: “Chiediamoci come curiamo ed aiutiamo a vivere i più deboli tra noi?”
Andrea, un giovane clochard di 47 anni che da tempo soffriva di disturbi mentali, sabato scorso è stato trovato morto a Catania: si è suicidato impiccandosi nel cantiere della metropolitana vicino alla stazione centrale. A renderlo noto è stata la redazione di Telestrada e Scarpe de Tenis che lancia un appello affinché si possa evitare che accadano tragedie di questo tipo.
Andrea era un senza dimora con disturbi mentali che sostava quasi sempre nei pressi della stazione centrale. Tempo fa, Andrea aveva fatto di una cabina elettrica in disuso vicino all'Help Center la sua casa, arredandola di tutto punto e mettendoci anche la tv. Ma da lì era stato costretto a sgomberare. “Allora avevamo dedicato a questa storia un intero numero del nostro Scarp de' Tenis – racconta Gabriella Virgillito -, il nostro giornale di strada, perché il caso di Andrea era esemplare della doppia fatica di chi, essendo senza dimora, ha anche un forte disagio mentale”.
“Andrea se ne è andato come aveva annunciato. Ce lo aveva gridato mille volte in faccia, o dietro le nostre facce convinte, convinte e rassegnate – scrivono in una lettera a due mani Pino Fusari, psicologo della Locanda del Samaritano e Gabriella Virgillito, responsabile della redazione di Scarp de' Tenis e TeleStrada -. Le nostre facce che non piangeranno lacrime per Andrea, ma continueranno a pensare a se stesse, dicendosi addosso che non si è potuto evitare che un uomo morisse di rabbia mista a dolore, di solitudine mista a rancore. Qualcuno si giustificherà e cavalcherà il momento per dire che la legge è la legge e nessuno può essere rinchiuso, come se questa fosse stata la soluzione. Ma la legge diceva altre cose, parlava di luoghi, di altri luoghi, luoghi accessibili, possibili, parlava di relazioni, parlava di capacità, parlava di vita. Le parole sono importanti ed allora la legge parlava di altre parole e non solo di legge e di chiusure e di vigili e di obblighi e di terapie e di Tso”.
“La legge parla di vita e ne parla con parole di vita - continua la lettera -. Andrea questo non lo sapeva perché tante volte ha sbattuto contro la legge e contro chi voleva fargliela rispettare, a lui malato. Andrea non riusciva ad essere malato come volevamo noi, era malato come voleva lui. Forse non era lui il malato, ma questa comunità di persone, di leggi, di funzionari, di impiegati. Persone che pensano che la soluzione sia relegarle in luoghi deputati solo alla cura, solo alla deportazione, solo all'annichilimento, in luoghi dove puoi essere solo malato. Perché da persona da quei luoghi scappi, ed Andrea scappava, fuggiva, preferiva la strada, il luogo del suo teatro, della sua eterna scena, del suo dolore, del suo valore di uomo tra gli uomini, senza regole, senza costrizioni, senza terapie, con l'anima a fior di pelle. Possiamo voltare lo sguardo e così sarà per la maggior parte di noi, che abbiamo paura della paura e del dolore, ma possiamo veramente tollerare che vada avanti così, non sentiamo dei doveri dentro di noi? Può essere che tutti noi ci sentiamo diversi e lontani da questa storia e da questa morte? Può essere che non si debba discutere di come curiamo ed aiutiamo a vivere i più deboli tra noi?”.
“Andrea viveva in strada ed è morto di strada - racconta ancora Gabriella Virgillito -. Nessuno è stato in grado di evitare che si suicidasse schiacciato dal suo stesso disagio. Occorre cercare delle soluzioni adeguate per le persone che vivono in strada e per quelle che hanno anche un disagio mentale. Di strada purtroppo si muore ancora e fare il clochard non è una scelta, chi sta in strada è perché costretto dalla povertà o da un altro disagio. Questa morte è una sconfitta non per Andrea ma per tutti perché a prevalere è stata l’inadeguatezza di una società che si dice moderna ed evoluta ma che non trova risposte per tutti ma solo per pochi. Manca uno stato sociale adeguato in grado di aiutare chi è più fragile. Questa morte non è certo il suicidio di un ‘folle’ ma è la morte di chi ha vissuto solo nell’abbandono e nell’indifferenza di tutti perché nessuno ha trovato una risposta adeguata al suo disagio. Purtroppo Andrea – aggiunge ancora Gabriella Virgillito - rifiutava qualsiasi tipo di ricovero e in passato era scappato da alcune strutture. Era molto difficile entrare nella relazione con lui a causa del disagio mentale molto forte che aveva. Andrea si è suicidato impiccandosi in un cantiere dentro la metropolitana alla stazione dove stava perché nessuno è riuscito a trovare una soluzione per lui. I volontari hanno in questi anni tentato di avere una relazione con lui ma il volontario non ha quelle competenze specifiche che possono convincere una persona di questo tipo a farsi aiutare”.
“Nessuno vuole speculare su questa morte – sottolinea lo psicologo Pino Fusari – indicando colpevoli e non colpevoli. L’anello debole in questo caso è la psichiatria catanese perché la riabilitazione è data in mano ai privati che sono attivi da quando c’è la legge 180 nel campo solo esclusivamente del ricovero e della residenza. Le risorse impiegate stanno andando su questa direzione e non si creano, invece, quei luoghi di riabilitazione vera e propria che valorizzano la relazione di aiuto con vari livelli di interventi. Le esperienze di riabilitazione completa della persona a livello psichiatrico sono state in questi anni a Catania pochissime. C’è poca progettualità legata all’inserimento sociale di queste persone”.
“Andrea era stato inserito in una Cta ma da questa era scappato – continua Fusari -. Il Cta è impostato esclusivamente come luogo di cura dove è difficile vivere. Andrea faceva parte di quelle persone che avevano bisogno di altro non solo della cura e del contenimento ma anche delle esperienze della riabilitazione sociale che attualmente mancano. Occorrerebbe avere più servizi di prossimità in grado di sostenere più da vicino queste persone puntando più alla relazione che al ricovero residenziale. Occorrerebbe, infatti, cambiare la logica quando si parla di assistenza psichiatrica passando dall’assistenza specificatamente medica a quella più di tipo riabilitativo fatta di personale competente che accompagna in maniera completa la persona nel suo percorso di reinserimento sociale”. (set)