Circa 70mila donne immigrate in Italia vittime di sfruttamento sessuale, almeno la metà è nigeriana


Pubblicato il 11.11.2005 in News Sociale

Devono saldare un debito che arriva fino a 50mila euro, per trasporto e alloggio. Il Progetto ''La Ragazza di Benin City''. In esclusiva da News from Africa.

Rose pensava che, arrivando in Europa, avrebbe studiato e trovato un lavoro part-time per guadagnare qualche soldo. Certamente, la ragazza nigeriana non immaginava che i libri sarebbero stati solo un sogno lontano e che il suo lavoro sarebbe stato la prostituzione. “Il mio viaggio è stato organizzato da due persone che lavoravano in quella che sembrava una normalissima agenzia di viaggi”, racconta. “Ma una volta che io e le mie compagne siamo arrivate in Europa, ci hanno rinchiuse in un appartamento per un mese e mezzo. Hanno svuotato le nostra borse e si sono presi i nostri documenti”.  Sophie racconta una storia simile. Pensava che avrebbe lavorato in un negozio o in una fabbrica e che così avrebbe potuto assicurare a se stessa e alla propria famiglia la possibilità di una vita migliore. Ora guadagna 2.000 euro a settimana – una cifra che non avrebbe mai neanche sognato nel suo villaggio in Nigeria – ma in cambio deve vendere il proprio corpo. “Pensavo che sarei stata libera in Europa”, riferisce con malinconia, nel monolocale buio e stretto che divide con due colleghe nella città italiana di Genova.

Non esistono stime ufficiali, ma secondo l’IOM (International Office for Migration), sarebbero circa 70.000 le donne che vivono in Italia dopo essere state vittima illegalmente condotte nel paese e per essere immesse nel mercato della prostituzione. E alcune associazioni per i diritti umani ritengono che almeno la metà provenga dalla Nigeria. I trafficanti chiedono più di 50.000 euro per il trasporto e la sistemazione: le ragazze dovranno lavorare per loro finchè il debito non sarà estinto. “Io credo che in un anno sarò in grado di saldare il mio debito”, afferma Naomi, 24 anni, venuta in Italia per poter mantenere, con I soldi guadagnati, anche I suoi fratelli più piccolo, ora che i genitori sono morti. “Pagherò. Non voglio violare i patti. So che ci saranno tanti problemi se non dovessi pagare”. Questo è un timore che si incontra spesso, nelle donne costrette alla prostituzione”, riferisce Suor Valeria, che ha trascorso tanto tempo in Nigeria e adesso lavora accanto alle vittime di questo traffico in Italia. “I trafficanti spesso costringono le loro vittime sfruttando la loro credenza nedi riti voodoo. Fanno un sacchetto con i capelli o con la biancheria o perfino con il sangue mestruale della ragazza: le ragazze credono davvero che se denunceranno queste persone, oppure se non pagheranno il dovuto, accadranno cose orribili a loro e alle loro famiglie”.

Ma ancor prima di scoprire la realtà della loro nuova vita in Europa, spesso le ragazze hanno dovuto affrontare viaggi atroci, solo per lasciare il proprio paese. Il costoso tragitto dal’Africa occidentale all’Europa è passa molto spesso per il Deserto del Sahara, dove è più facile muoversi clandestinamente e senza documenti.

“Abbiamo camminato per mesi”, racconta Sharon, una delle coinquiline di Sophie a Genoa, che ha affrontato il cosiddetto “viaggio spietato” attraverso il deserto, per raggiungere la punta settentrionale dell’Africa e, da qui, imbarcarsi per l’Europa. ”Molte persone muoiono. A volte beviamo la nostra urina”, ricorda, scuotendo la testa.

Il dramma degli Africani occidentali, spinti dalla disperazione a cercare una vita migliore in Europa, è stato sotto i riflettori dei media il mese scorso, quando diversi migranti furono uccisi mentre cercavano di scavalcare un muro nelle zone franche spagnole del Marocco. L’incidente e le successive deportazioni di massa di africani sono stati al centro del dibattito durante gli incontri tenutosi a Bruxelles tra leaders africani ed europei. In questa occasione, la Commissione Europa ha proposto che gli stati membri elaborino un piano per rafforzare l’impegno contro il traffico di esseri umani a scopo sessuale o di sfruttamento. Ma molti – dall’ex presidente del Mali Alpha Oumar Konare alle associazioni che stanno cercando di combattere il problema – ritengono che questo impegno debba concentrarsi soprattutto in Africa: occorre cioè estirpare la radice dell’immigrazione illegale, cioè la povertà. “Lo sfruttamento ha le sue radici nella povertà”, afferma Suor Florence, responsabile del Comitato per il Supporto alla Dignità delle Donne, che ha la sua sede nella città di Benin, nella Nigeria meridionale. “Noi qui abbiamo fame. L’economia della Nigeria è molto povera e continua a impoverirsi ogni giorno. Così i bambini, ma soprattutto le bambine, diventano fonte di guadagno”.

Teresa Albano, che lavora presso la sede romana dell’IOM, riferisce che in nove casi su dieci sono le famiglie ad aver costretto le figlie a partire, pur sapendo bene cosa le aspettava. “Le ragazze non sono libere di decidere e non possono rifiutarsi”, dice la Albano. “Quando le ragazze firmano I “contratti”, un membro della famiglia deve fare da garante e c’è sempre una clausola in base alla quale la ragazza accetterà qualsiasi lavoro le sarà offerto dall’organizzatore nel paese di destinazione”. Per le ragazze che vogliono liberarsi dalla schiavitù, le possibilità sono davvero poche. Si trovano in Italia illegalmente e con scarsissime risorse. L’unica via d’uscita offerta dall’ordinamento italiano è il permesso di soggiorno per protezione sociale, ma per ottenerlo occorre denunciare alla polizia gli sfruttatori: ed è proprio di questo che le ragazze hanno paura. Secondo la Caritas-Migrantes, che analizza il fenomeno migratorio, tra il 1998 e il 2004 sono stati concessi solo 999 permessi di questo tipo a donne nigeriane.

Un’altra opzione è il programma di rimpatrio, gestito dall’IOM, che offer aiuto alle donne, una volta rientrate nel loro paese. Ma anche qui, la strada è piena di ostacoli. “Una volta che le donne sono rilasciate dalla polizia nigeriana, dopo essersi sottoposte a un test per l’HIV obbligatorio, i loro trafficanti sono già lì, pronti a costringerle a tornare nel racket”, riferisce ancora la Albano all’Iom. E se riescono a sfuggire alle mani dei trafficanti, le ragazze possono incontrare altri ostacoli anche dopo, quando saranno arrivate a casa. “Quando le ragazze tornano, ci si aspetta che portion soldi e ricchezza: se non hanno niente, le famiglie le cacciano e allora il trauma è due volte più grande”, spiega  Suor Florence del gruppo di Benin City. Ma accade anche che ci siano storie a lieto fine. Rose, per esempio, racconta di essere stata salvato proprio da uno dei suoi clienti, Claudio. Ora è il suo compagno e insieme hanno scritto un libro sulla loro storia, sperando di suscitare l’attenzione introno al problema delle giovani nigeriane sulle strade italiane.


Autore: Traduzione di Chiara Ludovisi
Fonte: Redattore Sociale