Accoglienza, La Manna: ''Le politiche sociali sono ferme''


Pubblicato il 08.01.2008 in News Sociale

Il presidente del Centro Astalli di Roma riparte dalla ''provocazione'' di don Albanesi e fa il punto sull’accoglienza, puntando anche sul coordinamento con le istituzioni dello Stato. ''Chi vive per strada non lo fa per scelta''.

“Don Vincio Albanesi ha ragione e la sua provocazione sull’indecenza delle morti tra i senza fissa dimora non va lasciata cadere. Anzi, è arrivato il momento di rilanciarla e di cercare di capire insieme che cosa si può fare”. Lo dice padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli di Roma e responsabile nazionale del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati. Secondo padre La Manna i problemi sociali sono sempre più gravi e le risposte politiche sono invece sempre più deboli e frammentarie. “Ci dicono che non sono state tagliate le risorse per il sociale – spiega padre La Manna – e che sono stati messi in campo nuovi interventi. Sarà anche vero, ma è evidente a tutti che le risposte sono assolutamente insufficienti rispetto alla radicalità dei problemi. Basta vedere a quello che sta succedendo nel mondo dei rifugiati”.

Padre La Manna è una di quelle persone che non amano parlare di cose che non conoscono e soprattutto che non sono ben radicate nel loro divenire concreto. “E’ proprio lo stare insieme a tantissimi rifugiati ogni giorno – spiega – che ci dà il senso di migliaia di drammi personali. Noi viviamo a contatto con le persone che stanno peggio ed è solo così, cercando di risolvere qualche problema, che ci possiamo meritare l’autorevolezza per dire la nostra e magari anche per avanzare qualche critica”. I numeri del Centro Astalli parlano chiaro. Fino all’agosto del 2007, racconta il presidente, c’erano tra le 250 e le 300 persone rifugiate che venivano a chiedere da mangiare alla mensa. Da agosto in poi, il numero risulta in continuo aumento. Si toccano ormai punte di 400 rifugiati ogni giorno in fila per la mensa. “Tra questi – dice padre La Manna – almeno una ottantina vengono da me personalmente per chiedere aiuto, dopo aver parlato preliminarmente con i nostri operatori. Io, per loro, sono l’ultima carta, sperano sempre che io riesca a trovargli qualche soluzione”.

Ma che cosa chiedono i rifugiati e da dove provengono? Le provenienze sono le più diverse, risponde padre La Manna mostrandoci un grosso faldone in cui sono archiviate tutte le richieste di aiuto dal 2005. Ci sono davvero tutti i paesi e ultimamente ce ne sono moltissimi che provengono dall’Afghanistan. Molti sono anche i minori afghani che arrivano in Italia nei modi più assurdi. “Una delle cose bizzarre – spiega il presidente del Centro Astalli – è il fatto che noi pensiamo agli immigrati come se passassero tutti per Lampedusa. Ci immaginiamo che arrivino tutti dal mare. E invece moltissimi, forse la maggioranza, arrivano via terra. Alcuni vorrebbero rimanere in Italia, ma la maggior parte di loro sogna di andare in altri paesi come la Gran Bretagna per esempio. Da noi non esiste ancora una legge sui rifugiati e l’asilo politico e molti che sono stati già in altri paesi si meravigliano dei diritti che vengono garantiti altrove, ma non da noi”.

In ogni caso, padre La Manna, ci tiene a ribadire due o tre concetti. Da una parte è necessario spiegare all’opinione pubblica, dice, che chi vive per strada non lo fa per sua scelta o tanto meno perché gli piace. Nessuno sceglie di essere un barbone, anche se molte sono le ragioni che possono portare a situazioni estreme. E nessuno sceglie di essere un rifugiato. Tutte queste persone sono in fuga da situazioni disumane e cercano un’accoglienza. Per questo è necessario fare di più ed è importante raccogliere tutte quelle proposte che mirano a uno stesso progetto di inclusione sociale. È possibile quindi mettere in contatto la rete degli ordini religiosi e cercare di lavorare insieme e in modo coordinato con le istituzioni dello Stato. “Non si tratta quindi di dare soldi a pioggia, ma di studiare insieme i progetti. Altrimenti facciamo solo assistenza”. Ed è anche importante sapersi dividere i compiti: ogni parrocchia potrebbe prendersi cura di due o tre gruppi familiari, sarebbe già molto meglio che sgomberare in blocco centinaia di persone.
 

 

Redattore Sociale


Autore: pan