Nasce dalla collaborazione fra ministero dell'Interno e Comune. Il ministro: ''Presto l'ok ai decreti attuativi dell'Ue sullo status di rifugiato e richiedente asilo''. Il sindaco: "Doverosa l’accoglienza per chi fugge".
Una piccola cittadella, con aule, sale studio, giardini, teatro e palestra, una grande mensa, tre piani riservati agli alloggi, almeno 400 persone. Un posto di accoglienza e di integrazione, riservato ai richiedenti asilo, ai rifugiati e ai titolari di permesso per ragioni umanitarie: una struttura che aprirà i battenti a Roma nel prossimo mese di ottobre e che nasce dalla collaborazione fra il Ministero dell’Interno e il Comune di Roma, con il ministro Amato e il sindaco Veltroni insieme a firmare, oggi al Viminale, il testo dell’accordo. E’ un Centro polifunzionale destinato a diventare il baricentro di tutta l’attività romana a favore di chi è costretto per ragioni “di vita o di morte” a lasciare il proprio paese: la punta dell’iceberg di un progetto che si mira ad esportare anche in altre grandi città, e che intende dare quelle risposte che “un paese civile come il nostro” – ha spiegato Veltroni – “non può non dare”. Per il ministro dell’Interno la firma è anche l’occasione propizia per annunciare che il Consiglio dei ministri approverà presto (“questo o al più tardi il prossimo venerdì”) in prima lettura gli schemi dei decreti legislativi di attuazione delle direttive comunitarie relative allo status di rifugiato e di richiedente asilo, “il che a cose fatte permetterà” – ha precisato – “di avere buona parte della disciplina sul diritto di asilo che la nostra costituzione richiede”.
Il Centro polifunzionale di Roma risponde all’esigenza, avvertita in ambito nazionale, di potenziare il sistema nazionale di protezione e di rendere più incisiva l’azione di accoglienza nelle grandi città, nelle quali si concentra la gran parte dei richiedenti asilo. “Parliamo di persone che arrivano nel nostro paese senza un lavoro, fuggendo da situazioni di grave rischio personale, dalla guerra o dalle persecuzioni: non hanno nulla, neppure una terra nella quale tornare”, ha spiegato il sottosegretario agli Interni Marcella Lucidi: “Occorre agire per non lasciarli nella solitudine e nel degrado, perché il loro disagio è destinato altrimenti a ripercuotersi sulle comunità locali e sui cittadini tutti”. In Italia, lo scorso anno il Ministero dell’Interno ha assistito in collaborazione con l’Anci 5347 persone; in tutta Roma la rete integrata dei servizi comunali, con ventisette centri, ne assiste fra i 1500 e i 2000. La nuova struttura ricavata in zona Boccea – Casalotti fungerà da quartier generale, assicurando formazione professionale, insegnamento della lingua italiana e percorsi interdisciplinari rivolti all’inclusione socio-lavorativa. Obiettivo finale: la piena autonomia di rifugiati e asilanti. Sarà un accordo tecnico con la Prefettura a stabilire la data di avvio del Centro (si punta a partire il 1° ottobre): il Viminale penserà all’affitto della struttura (un ex convento), il Campidoglio assicurerà i servizi sociali e la vigilanza.
Quali le conseguenze sul territorio della città? “Si tratta di persone che fuggono da situazioni che le mettono a grave rischio di sopravvivenza e nessuno può pensare che questo non lo riguardi” – ha spiegato Veltroni sottolineando la particolare situazione di rifugiati e richiedenti asilo nel grande mondo dell’immigrazione: è necessario – secondo il sindaco di Roma – far conoscere le condizioni di questi uomini e donne, evitando polemiche e tensioni fra i cittadini romani e le comunità straniere; tensioni spesso ricercate consapevolmente dalla “irresponsabilità politica” di chi “non riesce ad essere coerente il martedì con quanto detto di buono il lunedì”. “E’ una questione di civiltà”, chiosa il sindaco.
Anche riguardo al prossimo pronunciamento del Consiglio dei Ministri, invece, Amato e Lucidi hanno spiegato che l’accordo con il Comune di Roma si muove lungo i binari della normativa nazionale vigente in materia di richiedenti asilo, che già prevede la necessità di accoglierli garantendo loro una vita dignitosa. Con i decreti di attuazione della direttiva comunitaria che il governo approverà presto l’esigenza di tutela si allargherà anche alla sede giurisdizionale, anche quando cioè il richiedente al quale sia stato negato l’asilo politico proponga ricorso contro tale decisione: “In tal caso potrebbero allungarsi i tempi di accoglienza”, ha ipotizzato Lucidi, ricordando la sostanziale brevità dei tempi di permanenza di queste persone nei luoghi di prima accoglienza. Si tratta soprattutto di somali, etiopi, sudanesi ed eritrei, che spesso utilizzano il nostro paese come punto di passaggio per raggiungere altri paesi europei: hanno per lo più riunito la famiglia intorno a sé e “hanno bisogno di star dentro ad una rete di servizi che offra non solo un’accoglienza temporanea”, ma veri e propri percorsi per liberarsi dal “bisogno di sopravvivere”.
Redattore Sociale