È povero un milanese su cinque


Pubblicato il 10.09.2012 in News Sociale

In città ci sono 255 mila poveri, a rischio anche il ceto medio. 40 mila gli anziani non autosufficienti, 32 mila le badanti

Nella città più ricca d'Italia uno su cinque è povero. Le politiche sociali del Comune sono sotto le lenti della crisi. Obiettivo? Riorganizzare «radicalmente» il welfare cittadino. «Perché ora rischiano di finire in difficoltà anche i ceti medi». 

La giunta ha approvato ieri il Piano di sviluppo del welfare 2012-2014. Numeri impressionanti. «Il documento "mette in circolo" quattrocento milioni di euro», spiega l'assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino. Ora però scatta la corsa contro il tempo: «Dobbiamo approvare la delibera in Consiglio entro il 30 settembre, altrimenti rischiamo di perdere i 14 milioni di fondi di provenienza statale. Mi auguro che sul documento nasca un confronto in Aula non solo perché rischiamo di perdere un finanziamento importante, ma perché su questo tema ci deve essere il contributo di tutte le forze politiche».

«NUOVI POVERI» - L'esercito dei nuovi poveri metropolitani arruola oggi 225.000 individui e 108.000 famiglie. Tra le nuove emergenze, gli sfratti per morosità, che da qualche anno sono in costante aumento. O quella dei quasi 40 mila anziani non autosufficienti a cui non a caso corrisponde una crescita progressiva di «assistenti familiari». Le badanti «censite» in città oggi sono più di 32 mila. «Gli sportelli anticrisi, l'unificazione del Pat col Golgi, un modello di welfare che intercetti anche il ceto medio, il portale per i servizi ai disabili, la mappa delle barriere architettoniche, la carta dei diritti per la salute con annesso registro del fine vita», scandisce d'un fiato Majorino. 

Il ragionamento di fondo muove da una considerazione. E cioè che il fiume delle risorse pubbliche è destinato nei prossimi anni a prosciugarsi. «Non siamo chiamati solo a resistere ai tagli, ma a reinventare la politica sociale. Dobbiamo cambiare la cultura dell'assistenzialismo. Le risposte possibili sono già presenti nella società e stanno sotto la cenere. Dobbiamo rimettere al centro le energie migliori e trasformare radicalmente l'offerta di assistenza socio-sanitaria. Creare la cultura della rete, fare alleanza, costruire sinergie. Tra tutte le istituzioni, imprese, privato sociale, volontariato, cittadinanza attiva». «Il processo - spiega ancora Majorino - è stato avviato il 3 aprile scorso e la filosofia è ispirata da don Colmegna. Intreccio tra pubblico e partecipato di risposte ai bisogni, allargando l'offerta dei servizi. Perché il problema è che per la classe media non esiste lo Stato sociale. E per questo dobbiamo costruire servizi, questi sì, a pagamento e uscire da visione pauperista». Ma c'è un altro punto. «Vanno irrobustite le strutture di controllo sui "furbi" del sociale. Tolgono risorse a chi non ne ha bisogno, tolgono servizi a chi ne ha diritto».

CONTRADDIZIONI - Città di contraddizioni e di contrari. Perché se i risparmi delle famiglie milanesi sono in crisi e la Caritas offre ogni anno assistenza a 17 mila persone, i parametri macroeconomici rimangono meno negativi che altrove. Prendiamo la disoccupazione giovanile: a Milano è inferiore di 15 punti percentuali rispetto alla media nazionale (20 contro 35). E anche il tasso di occupazione femminile è nettamente superiore a quello italiano. E città anziana, s'è detto. Ma con quasi 160 mila universitari, il 12% della popolazione residente. Anche se poi si scopre che solo il 45,8% degli studenti abita in città o nei comuni limitrofi della provincia. 

Milano e i nuovi milanesi, infine. Gli immigrati residenti sono 217.324. Trentunomila sono filippini, 26.000 egiziani, 17 mila cinesi, 16 mila peruviani e 13 mila ecuadoriani. In fortissima ascesa è segnalata la presenza d'immigrazione romena. La comunità più radicata invece è proprio quella dei filippini. Più del 30% risiedono in città da almeno dieci anni.


Autore: Andrea Senesi