Oggi ho incontrato Ibra e Said. Me li ricordo quando sono venuti all’Help Center la prima volta, con l’indirizzo scritto su un pezzetto di carta. La fatica di capirli e di farmi capire, di spiegare che per un posto bisognava aspettare, che dovevano farsi controllare da un medico, che bisognava mettere a posto i documenti. E poi il corso di italiano, le ore in fila, i pianti perché era tutto difficile, tutto lento, tutto da rifare. E il posto letto, finalmente, e poi l’housing. La gita in campagna e le biciclette. Ho lasciato la mia da Said stamattina, in officina: il cambio è andato e lo dovrà sostituire. Fuori dal centro commerciale c’è Ibra. Non lo so se mi vede, è perso, si è perso. Sta seduto con gli occhi aperti, parla chissà a chi. Said mi ha detto che gli porta da mangiare tutti i giorni, ma non risponde più neanche a lui. Forse sta qui fuori perché sa che dentro c’è il suo amico. Credevamo di avercela fatta con tutti e due, ma ci siamo sbagliati.